
Il 2 novembre 1995 il cutter Parsifal scomparve nel Mediterraneo durante una burrasca nel Golfo del Leone. Sei giovani velisti italiani persero la vita, tre si salvarono.
Il 2 novembre 1995 il cutter Parsifal scompariva tra le onde del Mediterraneo, a nord di Minorca, nelle isole Baleari. Sei giovani velisti italiani persero la vita e tre riuscirono a salvarsi. Il Parsifal era una barca costruita con cura artigianale da mastri d’ascia tra i migliori al mondo, un cutter in legno lungo 16 metri progettato da Carlo Sciarelli e realizzato dai Cantieri Carlini di Rimini.
L’equipaggio, composto da nove uomini, doveva partecipare alla Transat des Alizés, una regata che univa sport e avventura. Quello che stavano compiendo era un trasferimento sotto forma di regata: il “Trofeo Millemiglia”. La mattina del 1° novembre partirono da Sanremo 29 barche dirette a Casablanca, sulla costa atlantica del Marocco, dove si sarebbero unite alla flotta proveniente da Brest per la partenza ufficiale della Transat.
Il mare, al momento della partenza, era calmo, ma le previsioni meteo annunciavano un rinforzo del vento, con un picco previsto al centro del Golfo del Leone. Quando il vento iniziò a salire e si capì che non sarebbe stata una passeggiata, sedici barche decisero di ritirarsi e cercarono riparo lungo la Costa Azzurra. Le altre, invece, continuarono la loro rotta verso sud, sfidando il Leone. Tra loro c’era anche il Parsifal.
Daniele Tosato, lo skipper, era un marinaio esperto e di burrasche ne aveva affrontate molte. Si fidava della sua barca e del suo equipaggio, composto in gran parte da velisti che considerava esperti. Ma nel Golfo del Leone il meteo peggiorò rapidamente.
La sera del 2 novembre il vento soffiava tra i 40 e i 50 nodi, con raffiche che raggiunsero i 77 nodi. Il mare era incrociato e spaventoso, con onde che si sollevavano come piramidi d’acqua. Il bollettino parlava di una burrasca, ma nessuno poteva immaginare il caos che si sarebbe scatenato.
Il mare era completamente bianco di schiuma, i frangenti si rincorrevano con violenza e le onde si scontravano tra loro alzando cunei d’acqua che sembravano voler catturare le nuvole in fuga. Un’onda mostruosa colpì il Parsifal, schiantandosi sulla coperta. L’urto fu devastante: l’albero cadde su se stesso e il boma sfiorò chi era in pozzetto. Carlo Lazzari, al timone, fu sbalzato fuori bordo come un pupazzo di pezza, ma incredibilmente riuscirono a recuperarlo. Tuttavia, la barca era ormai perduta: l’acqua entrava a fiumi e in pochi minuti il Parsifal scomparve sotto i flutti.
I nove uomini si ritrovarono in mare, aggrappati a una cima che collegava due taniche di gasolio e un parabordo. La zattera autogonfiabile era stata strappata via da quell’onda maledetta. Ora erano lì, nel buio di una notte di novembre, in mezzo a un mare in tempesta. Alcuni volevano lasciarsi andare, ma gli altri li spronarono a resistere. Tutto era accaduto in quattro minuti: non c’era stato il tempo di lanciare un mayday, se non quello dell’EPIRB, uno dei primi apparecchi di emergenza installati sulle barche a vela, forse l’unico in tutta la flotta.
All’epoca, però, l’EPIRB non era preciso come oggi e il raggio di ricerca era molto ampio. Il segnale fu ricevuto, ma i soccorsi tardarono. La Marina Italiana fece pressione perché i francesi inviassero un velivolo: l’aereo localizzò i naufraghi a circa dieci miglia dal punto del segnale e tentò di lanciare due zattere. Una non si aprì, l’altra si aprì capovolta e divenne inutilizzabile.
Il freddo era intenso e, con il passare delle ore, i naufraghi cominciarono a cedere. Sei di loro non ce la fecero: Daniele Tosato, Ezio Belotti, Francesco Zanaboni, Giorgio Luzzi, Luciano Pedulli e Mattia De Carolis. Il mare reclamò i loro corpi, alcuni mai più ritrovati, altri avvistati giorni dopo.
Gli altri tre — Giordano Rao-Torres, Andrea Dal Piaz e Carlo Lazzari — furono recuperati il giorno successivo da un elicottero spagnolo. Quando furono tratti in salvo erano passate 18 ore dall’affondamento del Parsifal, diciotto ore che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato.
Le inchieste successive esclusero responsabilità tecniche o errori di manovra. Come scrisse Eduardo De Filippo in una sua poesia: “’O mare sta facenno ’o mare”, senza colpa e senza intenzione. In quella notte terribile, il mare fece semplicemente ciò che il mare fa, e il Parsifal ne fu la vittima.
Da allora, quell’onda di dieci metri è entrata a far parte dell’immaginario collettivo dei velisti europei, che guardano al Golfo del Leone con occhi diversi. Oggi, a trent’anni di distanza, il nome Parsifal evoca rispetto e silenzio. Non solo per la tragedia, ma per ciò che ha insegnato: che anche le barche più solide, anche gli equipaggi più preparati, sono vulnerabili di fronte alla potenza del mare. E che l’unica legge che davvero salva la vita resta, sempre, quella della prudenza.
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