domenica 23 marzo 2025
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Io e l'oceano

Il solitario italiano descrive le emozioni prima della sua nuova avventura. L'Atlantico, da Dakar a Guadalupe, sul piccolo cat Royal Oak

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Dakar - Vittorio Malingri è arrivato a Dakar, la città senegalese da cui partirà la sua nuova impresa: attraversare l'Atlantico a bordo di “Royal Oak”, un catamarano non abitabile di sei metri, con destinazione Guadalupa. La rotta, di oltre 2.500 miglia, non è mai stata percorsa ufficialmente da velisti in solitario: il tempo da battere sarà quindi quello ottenuto da un equipaggio in doppio, quello composto dai francesi Moreau e Lequin, che pochi mesi fa completarono la traversata in 11 giorni, 11 ore e 25 minuti.

In un'intervista esclusiva per SoloVela, Vittorio ha raccontato tutte le sue emozioni a pochi giorni dalla partenza, prevista tra non meno di una settimana, in concomitanza di condizioni meteo ottimali.

Ciao Vittorio, la rotta Dakar-Guadalupa è una novità per velisti in solitario. Come mai hai scelto questo percorso?
E' una rotta classica da affrontare in doppio. Questa avventura mi servirà come ricognizione per un futuro tentativo in equipaggio a due, che potrei affrontare in autunno, se riuscirò a rinnovare i contratti e avrò voglia di ripetere un'esperienza simile.

In questi anni cosa ti ha insegnato l'Atlantico? Quali le insidie e i segreti?
Avrò compiuto cinquanta traversate atlantiche nella mia vita, ma su “Royal Oak” cambierà tutto, perchè non ho esperienza nella conduzione di una barca del genere. L'Oceano Atlantico negli ultimi anni è molto cambiato dal punto di vista meteorologico. La mia impresa si svolge a latitudini molto miti e ci sono meno tempeste che a nord. La più grande difficoltà è la strategia da adottare, in quanto l'aliseo è ultimamente molto irregolare e non è facile trovare una finestra meteo in cui gli anticicloni delle Azzorre e del continente americano siano ben formati, per garantire venti regolari durante tutta la traversata.

Puoi raccontarci qualcosa della vita a bordo di un solitario?
“Royal Oak” è un catamarano non abitabile e per questo cambieranno molte cose rispetto alle mie esperienze precedenti. Ciò che posso paragonare al passato sono le ore di riposo, che non superano mai le quattro giornaliere. Posso farle tutte d'un fiato, oppure spezzarle. Quando c'è la bonaccia però dormo male, al pensiero della barca che non avanza.

Come ci si prepara a una traversata in solitario?
Io sono nato preparato. Questa non è una spacconata ma una realtà. Ho volontà e fisico che si sono dimostrati adatti e grandi insegnanti che mi hanno permesso di sviluppare queste qualità al meglio (il padre era progettista di barche, lo zio un navigatore solitario, ndr). In Italia manca una vera scuola di velisti oceanici, perchè molti skipper conoscono bene la vela, ma si perdono davanti alla meteo, alla conoscenza del mare al largo e a come si devono costruire le barche. La preparazione fisica, invece, consiste solo nel navigare il più possibile.

Hai progetti per il futuro al termine di questa traversata?
Ho puntato su “Royal Oak”, su questo record e su quello in doppio che spero seguirà. E' la prima volta che ho un budget quasi dimensionato all'operazione. In Italia si pensa che ci siano cose più importanti che far correre un uomo solo in mezzo al mare. E così si spende quindici volte di più per venti barche che navigano intorno alle boe per un paio d'ore, quando tutto è mandato all'aria da un litigio tra due miliardari. Datemi dieci milioni di euro in quattro anni per un sessanta piedi Open e vedrete cosa sarò in grado di fare.

Quali sono i velisti che apprezzi di più?
Sicuramente il mio amico Giovanni Soldini, con cui ho potuto condividere situazioni al limite. A terra ha parecchi difetti, ma quando è in mare è una iena, simpatico e intelligente. Il più grande di tutti è però Francis Joyon, il primo che mi ha fatto salire su un multiscafo. Poi c'è Ellen Mac Arthur, una ragazza fantastica e femminile, con un coraggio da leone e l'umiltà di imbattersi nelle “esperienze degli altri”, navigando in equipaggi di tanti skipper. Infine Yves Parlier, uno che come il sottoscritto ama aprire le piste prima degli altri, con nuovi tipi di barche e soluzioni tecniche.

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