
Nelle baie più affollate del Mediterraneo, da Ischia a Ponza, il panorama nautico è cambiato radicalmente. A dominare le rade sono oggi barche da 45 a 50 piedi, spesso a noleggio: Dufour, Beneteau Oceanis 46.1 e 51.1, alcuni Jeanneau, molti catamarani. Quasi del tutto assenti, invece, sono le barche tra i 6,5 e i 9 metri che un tempo costituivano il cuore pulsante della nautica da diporto italiana.
Dai Sun Odyssey 33i agli Alpa 670, le barche accessibili sono sparite. E con loro, i giovani velisti che sognavano di diventare armatori. Oggi chi ha meno di 40 anni va in mare solo in charter, spesso senza sviluppare un legame duraturo con la vela.
La nautica per pochi: più costi, meno sogni
I costi di ormeggio, manutenzione e gestione scoraggiano i nuovi armatori. Le vecchie abitudini del fai da te sono scomparse. I porti comunali gratuiti sono stati sostituiti da marine costose, inaccessibili ai giovani.
La crisi della piccola nautica non è solo economica, ma culturale. Si perdono valori fondamentali come l’autonomia, il contatto con la natura e il senso del limite. Una perdita che danneggia l’intera società.
Ripensare la nautica: più accesso, meno barriere
È il momento di ripensare gli spazi e le regole: porti sociali, spazi pubblici sul fiume, incentivi al refitting e all’autogestione. Come per le spiagge libere, anche la nautica deve avere il suo spazio accessibile.
Se vogliamo che la vela resti una passione diffusa e non un privilegio per pochi, servono politiche concrete e lungimiranti. Perché senza piccole barche e giovani velisti, perderemmo un’intera cultura del mare.
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