
A bordo della sua barca, Helisara, Herbert von Karajan trasformava la navigazione in una sinfonia. Il mare era il suo podio, la barca la sua orchestra.
Quando Herbert von Karajan saliva sulla sua barca, la Helisara, non dava mai l’impressione di un uomo in vacanza. Appena metteva piede sul ponte, alzava lentamente le mani — come per accordare un’orchestra invisibile — e il vento sembrava rispondere. Gli uomini dell’equipaggio tacevano, le vele si gonfiavano, e il mare cominciava a suonare. Era così che il più grande direttore d’orchestra del Novecento trasformava ogni pomeriggio di navigazione in una sinfonia.

Karajan aveva una personalità complessa e magnetica: piccolo di statura, ma capace di dominare intere sale solo con un gesto. Era ossessionato dalla precisione, dalla grazia, dal controllo assoluto. Sul podio cercava la perfezione dell’insieme; in mare, quella stessa esigenza si traduceva in manovre impeccabili, vele regolate al millimetro ed equipaggio sincronizzato come una sezione di archi.
Nato a Salisburgo nel 1908, Karajan diresse i più grandi teatri del mondo e trasformò la registrazione musicale in un’arte. Ma nel pieno della fama trovò nel mare la sua fuga: la vela divenne la sua meditazione fisica, un modo per vivere il silenzio e la concentrazione che in teatro gli erano negati.
Negli ultimi vent’anni della sua vita, Karajan trascorse ogni estate a Saint-Tropez, nella villa che condivideva con la moglie Eliette e le figlie Isabel e Arabel. Lì teneva ormeggiata la sua barca, pronta ogni giorno alle 14:00. Saliva a bordo, alzava le mani — sempre quel gesto — e l’equipaggio sapeva che la prova cominciava. Navigava fino a Port Grimaud o Porquerolles, poi rientrava alle 18:00. Non dormiva mai a bordo: la Helisara non era una casa, ma il suo teatro sull’acqua.
Sei Helisara per una vita
Tutte le barche di Karajan si chiamavano Helisara, un nome formato dalle iniziali dei membri della sua famiglia. Ne possedette sei, fino alla Helisara VI, varata nel 1980: un maxi yacht di 23 metri in alluminio progettato da Germán Frers e costruito dal cantiere Royal Huisman. Quando la provò per la prima volta, disse solo: «Perfetta. La accetto». In quel gesto c’era tutta la sua arte: dirigere anche il mare.

Karajan non voleva amici a bordo, ma professionisti. Il comandante era Franz Bair, marinaio austriaco di fiducia, che mantenne la barca in uno stato di pulizia impeccabile. L’equipaggio era composto da sei uomini fissi, e ogni manovra veniva eseguita come un passaggio sinfonico. «Il mio obiettivo è la perfezione in questo equipaggio, e il vostro compito è realizzarla», diceva. Era la sua filosofia, anche in mare.
Tra la musica e il vento
Chi lo vide dirigere ricordava la sua gestualità lenta, quasi ipnotica. In mare era lo stesso: la virata era un crescendo, la strambata uno stacco di timpani, lo spinnaker un fortissimo improvviso. Tra il podio e la barca non c’era differenza: in entrambi i mondi cercava armonia tra forze contrastanti. Sul mare trovava la libertà controllata, l’unico modo in cui sapeva essere libero.

La vela era una passione esclusiva del Maestro. Anche se la Helisara portava le iniziali della moglie e delle figlie, Karajan preferiva navigare solo con l’equipaggio. Per lui il mare era come una partitura senza fine, da riscrivere ogni giorno ascoltando il vento e correggendone le sfumature.
Il destino della Helisara VI
Dopo la morte di Karajan nel 1989, la Helisara VI cambiò più volte armatore. Nel 2024, durante una violenta tempesta DANA, si arenò a Formentera e rimase abbandonata per mesi. Nel novembre 2025, un nuovo temporale la distrusse completamente. I frammenti dello scafo si dispersero sulla spiaggia, e qualcuno trovò una targa con il nome inciso: Helisara VI. Era il destino di una barca che aveva risposto solo a un uomo e alla sua idea di perfezione.
Quando Karajan saliva a bordo e alzava le mani, il vento lo ascoltava. In quelle ore non c’erano note, ma c’era tutto ciò che aveva cercato nella musica: disciplina, armonia, bellezza. La vela fu la sua ultima sinfonia, scritta sull’acqua, e forse la più sincera. Perché in mare, lontano dal rumore del mondo, il Maestro non dirigeva più gli altri — dirigeva sé stesso.
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