
Il 31 luglio scorso per Carlo D’Attanasio si chiude una grande brutta avventura. Quattro anni prima, durante un suo viaggio in barca a vela intorno al mondo, in Nuova Guinea, era stato arrestato e incarcerato. L’accusa era traffico di droga. Questa derivava dal fatto che Carlo era l’unico essere vivente trovato con la sua barca nella zona in cui era caduto un piccolo aereo carico di droga.
In carcere D’Attanasio si è ammalato di cancro e non ha ricevuto cure, quindi la malattia è avanzata. Poi, a luglio scorso, la liberazione per insufficienza di prove. Finalmente la giustizia locale, dopo quattro anni d’inferno, riconosceva che Carlo non c’entrava nulla con il traffico di droga: lui era solo un velista capitato con la sua barca a vela nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Il rientro in Italia e le prime difficoltà
Il rientro in Italia, avvenuto ad agosto grazie all’intervento del suo legale Mario Antinucci e della Farnesina, lo ha riportato prima a Roma per le prime cure, poi a Pescara. All’ospedale romano del Policlinico è stato dimesso, ma — denuncia lui stesso — «il sistema integrato degli aiuti non è partito». Carlo non ha una casa: la sua casa era la sua barca che però è ancora in Papua Guinea.
In assenza di un alloggio, per ora trova riparo temporaneo negli spazi della Caritas di Pescara: tre pasti al giorno e un letto. Ma l’accoglienza terminerà il 17 dicembre: a quel punto D’Attanasio teme di ritrovarsi senza nulla.
Un appello duro: «Senza soldi né aiuti, datemi un alloggio». Il 9 dicembre 2025 l’ennesimo grido di bisogno. Scrive di avere bisogno di «una struttura, che sia un hospice o la stanza di un B&B, per poter seguire la chemioterapia» in modo dignitoso. Le sue condizioni sono gravissime: cure continue, necessità di assistenza quotidiana, difficoltà a viaggiare fino a Roma, dove deve sottoporsi alle terapie.
Il nodo della residenza e il rimpallo istituzionale
La sua residenza ufficiale è ancora a Roma, ma lui vive in Abruzzo. E quando si è rivolto al Comune di Pescara, il Comune ha contestato proprio la sua residenza ufficiale. Da una parte non si può dare torto al Comune: se la persona non è residente in loco non è al Comune di Pescara che spetta dare assistenza, ma l’avvocato Antinucci lo definisce «un pretesto»: per spostare la residenza, a suo dire, «bastano pochi minuti».
Diritti sociali, sanità e il dramma dei senza tettos
La vicenda di D’Attanasio riporta al centro un tema drammaticamente attuale: quello della condizione di chi, per motivi sanitari o sociali, si trova senza casa. Il fatto che un uomo assolto torni dall’estero per essere accolto da un’organizzazione caritativa — e che rischi di non avere più un posto dove dormire — produce una domanda di fondo: quanto il sistema di rete sanitario, sociale e istituzionale riesca oggi a reggere in situazioni limite. Il legale invita le istituzioni a considerare la vicenda come «una questione di diritti umani»: cura, dignità, protezione.
Il suo appello non è una protesta, ma una richiesta – semplice e urgente – di umanità. Serve un alloggio, un supporto, una continuità assistenziale. A lui. Come a tanti che vivono senza riparo, spesso invisibili.
In un momento in cui la sua battaglia contro la malattia — che si è aggravata nel buio di mesi difficili in una cella dall’altra parte del mondo, dove Carlo non sarebbe mai dovuto entrare — ha bisogno anche di stabilità, la risposta delle istituzioni locali sarà un segno di cosa significhi davvero “solidarietà” nel nostro Paese. «Non ho mai chiesto aiuto, ma questa è una circostanza eccezionale» — dice D’Attanasio.
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