sabato 23 agosto 2025
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Da fonda in un area protetta, condannato a pagare oltre 100.000 euro tra multe e danni.

Lo skipper di una società di charter da ancora con il suo catamarano in un'area marina protetta in Francia, il tribunale di Marsiglia lo condanna a pagare oltre 100.000 euro tra multe e danni.

Una delle rade del parco di Calanques
Una delle rade del parco di Calanques
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Per la prima volta in Francia, un tribunale ha condannato il proprietario di un catamarano che faceva noleggio per danni ambientali causati da ancoraggi non autorizzati in un’area marina protetta. La sentenza, resa pubblica il 12 giugno 2025, rappresenta una svolta significativa nella giurisprudenza legata alla nautica da diporto e al rispetto delle regole ambientali. Oltre 100.000 euro da pagare tra multe e risarcimenti.

Il caso: due ancoraggi illegali nel cuore del Parco delle Calanques

Al centro della vicenda vi è la società di charter Levantin con sede a Marsiglia, specializzata in navigazioni turistiche con catamarani. La società è stata riconosciuta colpevole di aver gettato l’ancora in due occasioni — nel luglio 2021 e nell’aprile 2022 — in aree sottoposte a tutela, all’interno del Parc National des Calanques, precisamente nei pressi delle isole Riou e Plane.

Le zone interessate sono classificate come aree di protezione speciale per la Posidonia oceanica, una pianta marina endemica del Mediterraneo, fondamentale per la salute dell’ecosistema costiero.

La Posidonia, infatti, svolge un ruolo chiave nella stabilizzazione dei fondali, nella produzione di ossigeno e nella protezione della biodiversità marina. Ogni danno causato da ancoraggi inappropriati in queste aree può risultare devastante e irreversibile nel lungo periodo.

Condanna esemplare: multa e risarcimenti

Il tribunale ha inflitto alla società una multa di 50.000 euro e l’obbligo di versare 49.040 euro di risarcimento al Parco delle Calanques, oltre a ulteriori somme a favore di tre associazioni ambientaliste: France Nature Environnement, Surfrider Foundation e Ligue pour la Protection des Oiseaux, per un totale che supera i 100.000 euro.

L’inchiesta, coordinata con il supporto dell’Office français de la biodiversité, si è basata su dati GPS e ricostruzioni delle rotte effettuate dall’imbarcazione.

La difesa: la pressione del turismo e la consapevolezza delle regole

Durante il processo, gli skipper del catamarano E-Colorato, appartenente alla flotta Levantin, hanno ammesso di aver ancorato in aree vietate per rispondere alle richieste dei passeggeri paganti. Hanno anche confermato che, nel momento in cui hanno dato ancora, erano a conoscenza delle regole in vigore.

La società Levantin, attualmente in liquidazione e già esclusa nel 2023 dall’elenco degli operatori autorizzati nel parco, ha dunque operato in violazione della normativa in modo consapevole.

Una sentenza che cambia le regole del gioco

Questa sentenza segna un punto di svolta per la nautica francese, stabilendo un precedente in base al quale un diportista può essere ritenuto responsabile penalmente e finanziariamente per i danni causati all’ambiente marino da pratiche scorrette come l’ancoraggio in zone protette.

In un Mediterraneo sempre più sotto pressione per l’intensificarsi del turismo nautico, la decisione del tribunale rappresenta un chiaro segnale di tolleranza zero verso comportamenti che mettono a rischio gli ecosistemi marini. L’azione della magistratura dimostra che le norme ambientali non sono semplici raccomandazioni, ma obblighi giuridici con conseguenze concrete per chi li infrange.

Implicazioni per il futuro della nautica

Il caso Levantin manda un messaggio forte ai diportisti: la conoscenza e il rispetto delle regole locali non sono più un’opzione, ma una responsabilità imprescindibile. In particolare, chi opera in contesti delicati come parchi marini e riserve naturali deve aggiornarsi costantemente sulla normativa vigente e formare il proprio equipaggio in materia di sostenibilità ambientale.

La sentenza potrebbe ora fungere da riferimento per altri procedimenti simili in tutto il bacino del Mediterraneo, e spingere i gestori delle aree protette a rafforzare i sistemi di controllo e tracciamento delle imbarcazioni.

In un’epoca in cui la fragilità degli ambienti costieri è sotto gli occhi di tutti, la condanna della società Levantin segna un cambio di paradigma: la nautica non può più ignorare le regole. Al contrario, è chiamata a diventare parte attiva nella tutela del patrimonio naturale che rende unica l’esperienza in mare.

Le responsabilità del parco

In questa sentenza però si trascura di sottolineare come, se è vero che il diportista deve assolutamente attenersi alle regole, è anche vero che il Parco è tenuto a rendere fruibile il più possibile la zona di mare sulla quale insiste.

Vietare e basta non è certo il modo per salvaguardare l’ambiente. L’ambiente è un elemento fondamentale, ma anche i posti di lavoro, l’economia e la libertà di movimento sono beni e valori irrinunciabili.

Vietare e basta porta alla chiusura delle società di charter che in quelle zone operano, alla disaffezione delle persone per la pratica della barca e di conseguenza alla crisi del settore nel suo insieme. Il diportista deve essere responsabile, ma anche chi dirige i parchi deve esserlo: non può provocare la perdita di posti di lavoro. E se il diportista che dà ancora sulla posidonia può essere multato, anche il dirigente che non attrezza il parco con campi boa per permettere al pubblico di usufruirne senza fare danni, dovrebbe subire delle conseguenze.

In Italia tanti divieti ma nulla in cambio

È probabile che arriveremo anche in Italia a sentenze di questo tipo, ma già oggi le multe per chi assume comportamenti vietati nei parchi fioccano e sono pesanti, anche se non raggiungono i limiti di quelle contemplate in questa sentenza.

Ma se il cittadino è tenuto a seguire le regole — ed è giusto che sia così — non sembra che l’istituzione sia tenuta a fare nulla per facilitare la presenza del cittadino e il suo desiderio di usufruire del parco.

Si guardi il Parco di La Maddalena, in Sardegna. Oggi è vietato dare ancora quasi ovunque, ma le boe a disposizione delle barche sono meno di un quinto di quelle che servirebbero. Se questo non bastasse, una regola che non ha alcun senso vieta di sostare alla boa di notte, come se una barca — che per entrare nel parco deve avere obbligatoriamente le casse delle acque scure — di notte inquinasse più che di giorno.

Probabilmente qualcuno dovrebbe iniziare a interessarsi dei diritti dei cittadini che vogliono navigare, perché sono questi che pagano le tasse per mantenere le aree marine protette.

© Riproduzione riservata

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