
Dal Mediterraneo ai porti con forti maree: differenze tra ormeggio all’italiana, finger e pontili mobili. Tecniche, cime e manovre spiegate.
Siamo in paziente attesa all’imboccatura del marina con il motore in folle quando da dietro un pontile spunta veloce un piccolo gommone in planata. Ci fa cenno di seguirlo, poi arriva un altro cenno da parte di un ormeggiatore in attesa sul molo, pronto a sollevare la trappa per porgerla al nostro fido aiuto di bordo; un colpo alla prua con il tubolare del gommone per non farla abbattere, due cime a poppa date volta sulle gallocce, ed eccoci ormeggiati.
È questa la scena classica che si vive o si è vista migliaia di volte in un qualunque approdo del Mediterraneo. Gli stranieri lo chiamano ormeggio all’italiana proprio perché tipico dei nostri mari.

L’ormeggio nel Mediterraneo e le sue varianti
In Grecia, nei porti comunali, si continua a usare l’ancora invece delle trappe, ma per il resto tutto è simile, a parte i frequenti intrecci di catene e i patemi quando un vicino poco pratico decide di salpare. Il massimo dell’esotismo è l’ormeggio all’inglese, con la murata lungo la banchina, o a pacchetto, sempre meno frequente a causa dell’affollamento dei porti.
Le tecniche di ormeggio si sono sviluppate nei secoli, spesso in modo empirico, adattandosi alle condizioni locali. Ormeggiare con un vincolo fisso sul fondo è possibile solo in acque con escursione di marea ridotta, come nel Mediterraneo, dove si aggira intorno ai trenta centimetri.
In mari con forti maree, anche di diversi metri, un ormeggio fisso diventerebbe impraticabile: le barche rischierebbero di restare sospese o di vagare per la darsena con cime lasche, urtandosi tra loro.
Il concetto di riparo cambia a seconda dei contesti: nei marina mediterranei il pericolo principale è il vento, mentre nei porti canale o fluviali la minaccia può essere l’acqua stessa, sotto forma di corrente o piena.

Pontili mobili e finger: il sistema usato fuori dal Mediterraneo
Nei marina al di fuori del Mare Nostrum si utilizzano pontili mobili, vincolati a pali verticali infissi sul fondale. L’intero porto sale e scende con la marea insieme alle barche.
In assenza di una ritenuta sul fondo, la sicurezza è affidata ai finger, piccole estensioni perpendicolari al pontile principale. La barca può così legarsi lateralmente oltre che a prua o a poppa, rendendo l’escursione di marea irrilevante per il diportista.
Con i finger il vento torna a essere un problema: la barca ha sempre un lato esposto senza appigli e viene spinta contro il finger, affidando ai parabordi tutta la protezione.
Servono più cime rispetto all’ormeggio all’italiana. La dotazione minima comprende legature sul lato del pontile principale, una cima di arresto e una a poppa per mantenere lo scafo parallelo. Spesso è necessario aggiungerne altre, soprattutto con vento forte.
Le gallocce a mezzanave diventano quasi indispensabili per evitare grovigli di cime difficili da gestire.

Meglio ormeggiare di prua o di poppa?
La scelta non è banale. Se l’ormeggio di poppa può sembrare più intuitivo, con i finger è spesso preferibile entrare di prua: la forma più stretta consente alle cime laterali di lavorare in modo più efficace e riduce il rischio di urti con la base del finger.
Di contro, l’uscita di poppa è più complessa, soprattutto in solitaria o con vento e corrente. Le cime da mollare sono molte e basta rilasciarne un paio perché la barca si traversi rendendo difficoltosa la manovra.
Nei marina con finger raramente è disponibile assistenza da terra. È quindi fondamentale prepararsi in anticipo, predisponendo parabordi e cime su entrambi i lati, con prevalenza verso prua.
Una configurazione efficace prevede sei cime: due a prua, due a poppa e due a mezzanave. In solitaria, un buon sistema è utilizzare due spring dalla galloccia di mezzanave e scendere a terra con quelle, dando priorità a quella sopravvento.

Un parabordo salvaprua può evitare danni nel punto più critico della manovra.
Come si ormeggiava prima dei pontili mobili
Prima della diffusione dei pontili mobili, le barche venivano raramente lasciate incustodite a lungo. L’equipaggio regolava periodicamente le cime adattandole al livello dell’acqua.
Nella Manica esistono ancora porti che vanno completamente in secco con la bassa marea. Le barche si appoggiano sul fondo e tornano a galleggiare con la marea, spesso grazie a doppie derive che permettono allo scafo di restare in equilibrio.

Chiuse, pali e sistemi tradizionali
In alcuni porti le chiuse mantengono il livello dell’acqua costante. Le barche sono ormeggiate all’inglese, talvolta con la tecnica del salmone, che utilizza un peso sulla cima per mantenerla sempre in tensione.
Un altro sistema diffuso è quello dei pali, come le briccole della laguna veneta: la cima scorre lungo il palo seguendo il movimento della barca. Per ridurre lo sfregamento è buona norma proteggere le cime con fodere o tubi di gomma.
L’equilibrio come chiave dell’ormeggio
Quando il motore viene spento, un buon ormeggio non si riconosce perché tutto è fermo, ma perché tutto è in equilibrio. Anche in porto, come in navigazione, è l’acqua a dettare le regole e il compito del marinaio è assecondarle e sfruttarle al meglio.
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