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venerdì 31 ottobre 2025
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Paura in Atlantico: l’incubo dei pirati al largo del Marocco

Un viaggio verso le Canarie si trasforma in un incubo per lo skipper Severin Ohlert: tre gommoni sospetti e un Mayday lanciato in pieno Atlantico.

Severin C. Ohlert skipper del Bolubo mentre parla con i soccorritori
Severin C. Ohlert skipper del Bolubo mentre parla con i soccorritori
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Il mare, a volte, sa diventare improvvisamente un luogo ostile. È bastato un sabato qualunque, il 25 ottobre 2025, perché la traversata tranquilla di un catamarano diretto alle Canarie si trasformasse in una storia da ricordare.

Lo skipper austriaco Severin C. Ohlert, istruttore di vela esperto e abituato a gestire equipaggi sotto pressione, quella mattina non poteva immaginare che la sua più grande prova non sarebbe arrivata da una tempesta, ma dalle sagome inquietanti di tre gommoni neri all’orizzonte.

Il Lagoon 42 Bolubo, battente bandiera croata, aveva già lasciato da giorni lo Stretto di Gibilterra e procedeva a motore verso Tenerife, su un mare calmo e sotto un cielo limpido. A bordo, otto velisti — tre donne e cinque uomini — rilassati, in attesa del vento. Poi, all’improvviso, un punto nero apparve sul mare. Poi un altro. Poi un terzo. E in pochi minuti divennero tre scie parallele che avanzavano velocemente, dirette verso di loro.

All’inizio qualcuno rise: “Magari sono pirati!”.

Ma le risate durarono poco. Le imbarcazioni erano troppo piccole, troppo veloci, troppo silenziose. Nessuna rete, nessun segno di pesca, nessuna radio accesa. Solo uomini in piedi che osservavano il catamarano, immobili, come in attesa.

Ohlert alzò il binocolo e sentì lo stomaco stringersi. Non erano pescatori. Né rifugiati. E in mare, quando non sai chi hai di fronte, il tempo si dilata, il cervello corre, il cuore accelera.

“Nascondete i documenti e gli oggetti di valore. Tutti pronti.” La voce dello skipper, calma ma tesa, ruppe il silenzio. Poi tentò un contatto via radio. Nessuna risposta. Uno dei gommoni si fermò davanti alla prua e un uomo incrociò le braccia sopra la testa, come a chiedere aiuto. Ma Ohlert non ci credette nemmeno per un secondo. “Era una messinscena”, dirà più tardi. “Ci volevano far fermare.”

Un comandante sa che, in mare, le decisioni si prendono in pochi secondi.

Ohlert accese il secondo motore e spinse le manette avanti. Il Bolubo accelerò e superò il gommone immobile, che subito riprese l’inseguimento. A quel punto lo skipper fece ciò che nessuno vuole fare: premette il tasto Mayday, il DSC.

Non un Pan-Pan, non una richiesta di assistenza: un Mayday, la chiamata d’emergenza che segnala un pericolo di vita.

Via satellite contattò il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Brema, spiegando la situazione e comunicando posizione, equipaggio e rotta. Dalla Germania arrivò subito la risposta: la Polizia Federale stava monitorando tutto. “Rimanete visibili sul ponte, fatevi vedere forti”, fu il consiglio. In mare, anche la percezione di essere osservati può fare la differenza tra panico e lucidità.


Sala operativa del centro di coordinamento del soccorso marittimo tedesco
Sala operativa del centro di coordinamento del soccorso marittimo tedesco

Sulla radio, la voce di Ohlert rimbalzava ora tra mercantili e centri di soccorso. Due navi container — enormi, lenti giganti d’acciaio — si offrirono di aiutarli, autorizzando il Bolubo ad avvicinarsi alla loro rotta.

Una di loro, la Maersk Banco, fece da ponte radio con la guardia costiera marocchina. Ma la risposta che arrivò non era quella che Ohlert si aspettava: all’orizzonte, non una nave bianca di salvataggio, ma una nave grigia della marina militare.

Cinque soldati in divisa, armi visibili, motore acceso raggiunsero il catamarano su di un gommone. Tre salirono a bordo.

La nave militare marrocchina inviata in soccorso del Bolubo
La nave militare marrocchina inviata in soccorso del Bolubo

Il silenzio cadde come una cappa. Poi, lentamente, le incomprensioni linguistiche si trasformarono in sorrisi. Il malinteso era chiaro: la marina marocchina aveva ricevuto la segnalazione di possibile pirateria e intervenuto d’urgenza.

Cercarono droga, controllarono i documenti, confusero Austria e Australia, e alla fine, con un gesto amichevole, lasciarono l’imbarcazione. L’equipaggio rise, sollevato, mentre il vento finalmente riempiva le vele.

Nel pomeriggio, Severin Ohlert prese il telefono e registrò un breve video. La voce ancora scossa, ma piena di riconoscenza: “Siamo salvi grazie al coordinamento perfetto del centro di soccorso di Brema. Non dimenticherò mai quanto sia preziosa questa rete invisibile che veglia su chi naviga”.

In quelle stesse ore, altri yacht in zona confermavano via radio di aver visto gli stessi gommoni. Nessuno era stato attaccato. Forse erano pescatori, forse contrabbandieri, forse solo ombre nel blu. Ma per chi le ha vissute, quelle ore sono state infinite.

La sera del 25 ottobre, mentre il Bolubo navigava verso le Canarie e il sole scendeva dietro l’oceano, lo skipper guardò la scia lasciata dalla barca e pensò a quanto sottile sia la linea tra normalità e paura, tra calma e caos.

In mare, a volte, basta un gommone all’orizzonte per ricordarti quanto la vita sia fragile. E quanto la solidarietà tra marinai — anche a migliaia di chilometri di distanza — possa ancora salvarti.

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