
Il 2025 si appresta a lasciarci, ma non se ne va a mani vuote. Qualche “regalo”, poco gradito per i diportisti, lo lascia sul tavolo.
Elencare tutto ciò che non funziona nella nautica da diporto sarebbe lungo e probabilmente inutile: ancora una volta chi governa, (indipendentemente dal colore politico, è sempre stato così) non è stato in grado di mettere ordine e, quando è intervenuto, lo ha fatto generando più confusione che certezze. Tuttavia ci sono almeno due questioni che meritano di essere evidenziate, perché risultano difficili da accettare in un Paese in cui lo Stato dovrebbe tutelare i cittadini e non legittimare forme di vessazione.
La prima questione riguarda Ponza. Chi naviga intorno all’isola è obbligato a pagare 3 euro al metro lineare al giorno solare, anche nel caso in cui si fermi solo per un bagno prima di proseguire verso un’altra meta.
Se si arriva la sera in una baia, si pagano 3 euro al metro lineare per la sera e altri 3 euro per la mattina successiva. Tradotto: una barca di dieci metri spende 60 euro per trascorrere una notte alla fonda in acque che dovrebbero essere libere e accessibili a tutti.
Sessanta euro in cambio di cosa? Il Comune parla di tassa ecologica: i proventi servirebbero a pulire le acque di Ponza, il paese e a finanziare interventi ambientali.
Eppure chi naviga in zona sa bene che, da quando questa tassa è stata introdotta, non è cambiato nulla. Non si vedono nuove imbarcazioni dedicate alla pulizia delle coste né miglioramenti evidenti. Si era parlato anche di una riqualificazione del porto, che avrebbe potuto portare benefici ai diportisti, ma il porto di Ponza è da moltissimi anni precluso alla nautica da diporto.
L’unica cosa che è cambiata è il bilancio del Comune, che oggi risulta decisamente più ricco.
Se a questo si aggiunge che d’estate i prezzi sull’isola raggiungono livelli spesso difficili da giustificare e che molte attività commerciali concentrano in pochi mesi guadagni sufficienti per l’intero anno, la sensazione che il diportista venga visto come un “pollo da spennare” diventa forte.
È improbabile che qualcuno rinunci ad andare a Ponza in barca solo per questa tassa. Resta però il danno d’immagine: Ponza e i ponzesi non ne escono bene. L’impressione è che l’avidità abbia prevalso su qualsiasi forma di etica sociale.
La seconda questione per cui qualcuno dovrebbe seriamente vergognarsi, in questo 2025 che si chiude, è l’introduzione del tariffario minimo per le patenti nautiche.
Voluto da una delle associazioni delle autoscuole e non contrastato da Confindustria Nautica, questo provvedimento ha imposto per decreto un prezzo minimo che, nei fatti, farà aumentare il costo della patente nautica fino a tre volte rispetto a quanto si pagava fino al 2024.
C’è chi pensa di aver fatto un affare, di aver messo a segno il colpaccio: stesso lavoro incassando molto di più per legge. Ma il rischio concreto è che il colpo se lo siano dato sui propri piedi.
Il numero di patentati in Italia è in costante diminuzione perché sempre meno persone si avvicinano alla nautica. Misure come il tariffario minimo o balzelli come quello di Ponza non fanno altro che scoraggiare ulteriormente chi vorrebbe andare in barca.
Il problema di fondo è sempre lo stesso: il diportista viene visto come qualcuno che “ha i soldi” e quindi può pagare. E allora perché non farlo pagare sempre di più?
Peccato che, alla lunga, molti si stanchino e smettano semplicemente di essere diportisti, come già sta accadendo. Con buona pace di tutti quelli che pensano di arricchirsi offrendo sempre meno e chiedendo sempre di più.
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