
La chiamavano “quella dei progetti a impatto zero”, una ragazza di La Rochelle che sognava di completare un giro dell’Atlantico in autosufficienza. Marie Descoubes, 28 anni, aveva trasformato quel sogno in una rotta concreta: mare freddo del Maine, scalo tecnico alle Bermuda, quindi giù verso i Caraibi. Il 5 novembre, al calare del buio atlantico, il suo nome e quello della barca che stava trasferendo si sono però persi in un punto di mare a nord dell’arcipelago, assieme al comandante americano con cui navigava. Da allora, solo domande. E un silenzio che pesa.
L’imbarcazione è la SV Liahona, un cutter Pacific Seacraft del 2005 lungo 11,3 metri, bianco con finiture blu, dotato di EPIRB, InReach e – con ogni probabilità – AIS in sola ricezione. L’ultima posizione certa arriva alle 20:12 (ora atlantica) del 5 novembre: 33°33.47’N, 064°06.51’W, sedici ore di mare dalle Bermuda. In quel messaggio il capitano Nathan Perrins, 48 anni, segnala un problema pratico: carburante in esaurimento. Poi più nulla. L’arrivo previsto a Hamilton, verso mezzogiorno del giorno dopo, non avviene. La rotta successiva – un’eventuale decisione di saltare lo scalo e proseguire diretti su Porto Rico – resta un’ipotesi.
Il caso viene preso in carico dal Rescue Coordination Center delle Bermuda con il supporto della U.S. Coast Guard, che mette in volo anche un C-130. L’area di ricerca è vasta, segnata da correnti e fronti mobili: un Atlantico di novembre che cambia umore nel giro di poche ore, complicando triangolazioni e sorvoli. Finora, nessuna traccia di scafo, zattera o segnalazioni di emergenza innescate.
In Francia, la notizia corre sui media locali: Marie è “portée disparue” al largo delle Bermuda. Il quotidiano regionale Sud Ouest racconta i suoi progetti, il lavoro con l’associazione ...lément-Terre Sail, l’idea di una navigazione più sobria e pulita. A casa, la madre invita alla prudenza – «con Marie non bisogna allarmarsi troppo in fretta» – ma è un invito che convive con l’ansia delle ore che passano.
La cronologia è semplice e spietata. Partenza dalla costa del Maine, scalo pianificato alle Bermuda il 6 novembre a mezzogiorno, ultima traccia la sera precedente, carburante basso, condizioni del mare in peggioramento stagionale. Le ricerche si allargano a ventaglio: aeromobili, allerta ai mercantili di passaggio, monitoraggio dei transponder. Niente. Sui forum diportistici si osserva che, in assenza di un EPIRB attivo, parte delle missioni viene rimodulata in attesa di nuove finestre meteo. Qualcuno ipotizza che, se davvero la Liahona avesse deciso di puntare dritto ai Caraibi, una ricomparsa a sud non sarebbe impossibile. Ma è solo una possibilità.
Dentro questa storia di mare c’è anche il carattere di chi la abita. Marie, dicono i ritratti, è una navigatrice esperta. I convogli sono lunghi, ripetitivi, a volte estenuanti; la notte, quando la luna scompare dietro le nubi e il vento gira, ogni scelta pesa. Basso carburante vuol dire motore da centellinare per ricaricare le batterie e per tenere la barca fuori dai buchi di vento. AIS solo in ricezione significa visibilità ridotta, se non si è sotto radar o osservati da vicino. È in queste situazioni che la prudenza e i protocolli di sicurezza fanno la differenza.
A oggi, 12 novembre, il quadro è questo: due persone a bordo, una barca solida e riconoscibile, un’ultima posizione verificata, ricerche coordinate da RCC Bermuda con USCG in appoggio, nessun allarme EPIRB ricevuto e nessun reperto in mare. Gli appelli a chi transita in zona invitano a mantenere un “sharp lookout” e a contattare immediatamente i centri di coordinamento in caso di tracce o avvistamenti.
Il nome di Marie è diventato un simbolo per la comunità velica internazionale, un promemoria sulla fragilità delle traversate e sull’importanza di ridondare comunicazioni e allarmi. Il mare resta un maestro severo: non promette salvezza, ma concede chance a chi sa cercarle. Le autorità continuano a lavorare; la comunità nautica, da una riva all’altra dell’Atlantico, spera che la prossima chiamata rompa finalmente il silenzio.
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