sabato 18 ottobre 2025
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Il mistero dello yacht “A”: sotto sequestro a Trieste, non si sa di chi sia davvero

Lo yacht “A”, lungo 143 metri e disegnato da Philippe Starck, è sotto sequestro a Trieste dal 2022. Costa milioni allo Stato e resta incerta la sua reale proprietà.

Il megayacht A, oggi sotto sequestro a Trieste, costa allo stato circa 30.000 euro al giorno di mantenimento
Il megayacht A, oggi sotto sequestro a Trieste, costa allo stato circa 30.000 euro al giorno di mantenimento
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È una delle barche più spettacolari mai costruite, ma oggi è anche una delle più ingombranti per lo Stato italiano. Lo Sailing Yacht A, superyacht lungo 143 metri disegnato da Philippe Starck e costruito dai cantieri Nobiskrug, giace da oltre due anni sotto sequestro nel porto di Trieste. Ogni giorno il suo mantenimento costa decine di migliaia di euro, ma il vero nodo è un altro: nessuno sa con certezza chi ne sia il proprietario.

Varato nel 2017, lo yacht A è una delle unità più grandi e tecnologicamente avanzate al mondo. Le sue linee futuristiche e i tre enormi alberi in fibra di carbonio, di cui uno tocca i cento metri di altezza, lo rendono un’icona del design navale contemporaneo.

Il 12 marzo 2022 la Guardia di Finanza lo ha posto sotto sequestro in applicazione delle sanzioni europee contro gli oligarchi russi legati al Cremlino, dopo l’invasione dell’Ucraina. Da allora il superyacht è rimasto immobile, custodito sotto la vigilanza delle autorità italiane.

Ufficialmente, la barca risulta intestata a una società offshore con sede alle Bermuda, collegata a un trust svizzero di cui sarebbe beneficiaria Aleksandra Melnichenko, moglie dell’imprenditore russo Andrey Melnichenko. Quest’ultimo, secondo le autorità europee, rientra tra gli oligarchi vicini a Vladimir Putin.

Melnichenko ha sempre negato di essere il proprietario effettivo dello yacht, sostenendo che la gestione sia affidata a entità giuridiche indipendenti. Tuttavia, per Bruxelles, il legame tra il magnate e il bene è evidente. I ricorsi presentati dai legali dei coniugi Melnichenko per rimuovere il sequestro sono stati finora respinti sia in Italia che a livello europeo. Il risultato è un vuoto giuridico: il bene rimane sotto custodia dello Stato, ma la sua titolarità resta opaca.

Un sequestro che costa milioni di euro

Tenere fermo un’imbarcazione di queste dimensioni comporta spese enormi. Secondo alcune stime, il mantenimento dello yacht A costa tra i 20.000 e i 30.000 euro al giorno. Solo nei primi dieci mesi dopo il sequestro sarebbero stati spesi circa 7 milioni di euro, una cifra che negli anni successivi è cresciuta fino a superare i 15-18 milioni complessivi.

A incidere sui costi sono le spese di ormeggio, sorveglianza, manutenzione tecnica, utenze e stipendi del personale di bordo, necessario per garantire la sicurezza e l’integrità dei sistemi. Lasciare la barca incustodita significherebbe comprometterne le condizioni in modo irreversibile.

Il caso dello yacht A rappresenta un paradosso. L’Italia è custode di un bene di lusso dal valore stimato di circa 250 milioni di euro, ma è anche costretta a sostenerne le spese senza poterlo utilizzare né vendere.

Le opzioni sul tavolo sono poche:

  • Confisca definitiva, se sarà dimostrato che il bene appartiene a un soggetto sanzionato.
  • Restituzione, se i Melnichenko riusciranno a dimostrare il contrario.
  • Vendita all’asta, soluzione complessa vista la rarità di potenziali acquirenti per una nave di queste dimensioni.

Nel frattempo, lo yacht rimane ormeggiato a Trieste, con occasionali spostamenti autorizzati per manutenzione o sicurezza, come quello avvenuto recentemente verso Venezia.

La vicenda dello yacht A mette in luce un tema delicato: la gestione dei beni di lusso sequestrati nell’ambito delle sanzioni internazionali. Mantenere navi, ville e jet privati bloccati per motivi politici o giudiziari costa caro ai governi europei, che spesso si trovano a pagare milioni di euro per conservare beni di cui non possono disporre.

Nel caso del Sailing Yacht A, il problema è doppio: da un lato la complessità dei trust e delle società offshore rende difficile stabilire la proprietà effettiva; dall’altro, l’inerzia procedurale rischia di trasformare un sequestro simbolico in un fardello economico duraturo.

Un gigante silenzioso nel porto di Trieste

A oltre due anni dal sequestro, A resta un gigante silenzioso, simbolo di potere, lusso e ambiguità. Mentre le autorità cercano di districare i fili di una rete societaria internazionale, ogni giorno il suo ormeggio continua a pesare sulle casse pubbliche.

Le proteste sono forti, così come le polemiche sull’utilità di tenere sotto sequestro questi beni, soprattutto da parte di chi guarda a Putin con simpatia. Ma non bisogna dimenticare che in questo momento non si sta combattendo per la giustizia mondiale, spesso tradita da chi avrebbe dovuto difenderla, bensì per la nostra sicurezza. È una battaglia per far capire a un dittatore con mire che potrebbero includere l’Europa che, da queste parti, per lui e i suoi alleati la vita sarà sempre molto dura. Ne va del nostro modo di vivere, della nostra pace.

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