
In Francia è stato presentato un emendamento che propone di innalzare l’IVA sulle barche da diporto al 33%, classificando la nautica tra i beni di lusso. La misura, che secondo i promotori rappresenterebbe un atto di “giustizia fiscale”, è stata accolta con forte preoccupazione dagli operatori del settore, che la definiscono punitiva e potenzialmente devastante per l’economia marittima francese.
La notizia ha suscitato grande allarme anche oltre confine, in particolare in Italia, dove il tema della tassazione sulla nautica resta da anni al centro del dibattito.
Nel nostro Paese, l’aliquota IVA applicata alle imbarcazioni da diporto è già quella ordinaria del 22%, una delle più alte d’Europa. Fino a pochi anni fa, chi acquistava una barca tramite leasing nautico poteva usufruire di un’agevolazione che riduceva del 50% l’IVA sui canoni, in base alla presunzione di un utilizzo parziale in acque extra-UE.
Questa misura, però, è stata modificata profondamente perdendo la sua efficacia su richiesta della Commissione Europea e, in particolare, per iniziativa di un commissario francese, che considerava tale riduzione contraria alle regole comunitarie sulla concorrenza.
Oggi, per ottenere una riduzione dell’imposta, l’armatore deve dimostrare concretamente e documentare l’utilizzo dell’imbarcazione fuori dall’Unione Europea, con un meccanismo complesso e poco pratico. Nella maggior parte dei casi, l’intero canone di leasing è quindi tassato al 22%.
Effetti sul mercato nautico italiano
La combinazione di IVA piena e maggiori vincoli burocratici ha avuto conseguenze dirette sul mercato nautico italiano. Molti potenziali armatori rinunciano all’acquisto o si orientano verso bandiere estere per sfruttare condizioni fiscali più favorevoli, come quelle di Malta o della Croazia. Il risultato è un indebolimento del sistema nazionale, che vede ridursi non solo le vendite, ma anche l’indotto — dai cantieri alla manutenzione, fino ai posti barca nei porti turistici.
Il rischio, secondo molti operatori del settore, è quello di ripetere in Italia l’errore francese: trattare la nautica da diporto come un lusso da colpire invece che come un comparto industriale strategico per l’economia marittima e per il turismo costiero.
La proposta di portare la TVA francese al 33% è stata giudicata dagli esperti una misura potenzialmente “letale” per il mercato d’Oltralpe. La Francia è oggi uno dei principali produttori di barche al mondo, con marchi come Beneteau, Jeanneau e Lagoon che esportano gran parte della loro produzione.
Un aumento così drastico dell’IVA porterebbe a un calo di vendite superiore al 20% sul mercato domestico e questo provocherebbe la chiusura di un numero elevato di aziende che operano nel settore. Inoltre, potrebbe spingere molti armatori francesi a tenere le proprie barche in paesi più “amichevoli” come Croazia, Grecia o anche la stessa Italia.
Per l’Italia, che condivide con la Francia una forte vocazione nautica, questa vicenda è un campanello d’allarme. L’esperienza francese mostra quanto le scelte fiscali possano condizionare l’intero settore e quanto sia importante mantenere un equilibrio tra entrate fiscali e sostegno alla filiera.
Non sarebbe la prima volta che una decisione politica presa con leggerezza e per motivazioni ideologiche abbia conseguenze disastrose sul mercato nautico, un comparto che dà lavoro a molte decine di migliaia di persone. Molti ricorderanno il famoso motto di bertinottiana memoria, “Anche i ricchi devono piangere”, con i cartelloni che tappezzavano le città dove il simbolo dei ricchi era una grande barca a motore: una campagna che diede il via a uno dei periodi più neri della nautica italiana.
Un’occasione per ripensare la politica fiscale sulla nautica
Il caso francese e la soppressione dell’agevolazione italiana sul leasing mettono in luce un problema comune: in Europa, la nautica continua a essere trattata come un lusso, mentre rappresenta un settore ad alto valore industriale, tecnologico e turistico.
Dal punto di vista italiano, sarebbe opportuno riaprire il dialogo con Bruxelles per cercare un modello di tassazione più sostenibile, che non penalizzi chi sceglie di acquistare o utilizzare un’imbarcazione in modo regolare.
Semplificare le regole, reintrodurre agevolazioni mirate e valorizzare il settore come motore economico del Paese sarebbero passi concreti per evitare che la nautica resti schiacciata tra burocrazia e imposizioni fiscali.
Mantenendo le tasse alte o alzandole non si fa giustizia fiscale, ma si creano disoccupati e si rende la nautica sempre più un mercato per soli ricchi. La visione della politica di una nautica da punire ha già portato alla scomparsa delle barche piccole. Come si è visto all’ultimo Salone Nautico di Genova, le barche a vela oggi partono dai 40 piedi in su, e trovare un modello sotto i 35 è ormai raro.
Questo allontana progressivamente le persone da un mondo che, oltre ad avere un forte valore industriale e occupazionale, è anche portatore di valori etici e ambientali fondamentali per una società moderna. Ripensare la tassazione della nautica significa quindi non solo sostenere un’economia, ma anche preservare una cultura del mare che è parte integrante dell’identità italiana.
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