
Il Quokka, un Grand Soleil 43, mentre navigava in oceano Atlantico con vento molto forte e mare formato, ha perso il timone. A bordo del Quokka, in quella notte di settembre del 2025, c’erano 4 uomini: Peter Rutter, l’armatore, ex Commodoro del Royal Ocean Racing Club, e tre membri dell'equipaggio di grande esperienza: Graham Moody, Malcolm McEwen e Scott Dawson.
L’idea dei quattro amici era quella di scendere lungo le coste francesi, portoghesi e quindi spagnole per entrare in Mediterraneo e raggiungere Malta per poter partecipare alla Middle Sea Race. Una volta finita la regata, si sarebbero spostati alle Canarie per partecipare all’ARC e cercare di vincerla nella loro categoria.
Il viaggio, che prometteva di essere molto lungo, era stato preparato con cura. A bordo c’erano attrezzi di ogni genere, dal trapano a diversi set di cacciaviti e chiavi inglesi, fascette, viti, bulloni. Peter Rutter non era uomo da navigare senza i suoi attrezzi.
Nella cambusa c’era un’abbondanza di generi alimentari e acqua potabile più che sufficiente per percorrere le 2.000 miglia che li aspettavano. Il serbatoio del gasolio era pieno e ce n’era uno di rispetto con altri 70 litri. C’era un VHF e un telefono satellitare, l’unico sistema che mancava era una radio SSB.
Il momento della rottura del timone
Avevano da poco lasciato il canale della Manica e navigavano davanti al Golfo di Biscaglia. Il mare era grosso e il vento soffiava a 40 nodi. La randa aveva due mani di terzaroli e i quattro si chiesero se non fosse il caso di dare la terza mano, ma nel timore di depotenziare troppo la barca e non permetterle più di governare al meglio, lasciarono stare.
Erano le 22:30 quando si udì un tonfo sordo. Non il solito schiaffo dell’onda, ma qualcosa di diverso: un suono profondo, il tipo di rumore che fa tacere ogni conversazione. Il timone non rispondeva più. Le due ruote del timone giravano a vuoto, senza opporre alcuna resistenza, come se fossero scollegate dallo scafo. In pochi secondi la barca diventò ingovernabile, spinta di traverso dalle onde e incapace di mantenere una direzione. La situazione era critica.
Per chi ha esperienza di mare, questa è una delle situazioni più temute: perdere il timone significa perdere il controllo, e perdere il controllo significa affidarsi alla sorte.
Non molto tempo fa un altro Grand Soleil, 54 piedi, il Nina Pope, aveva perso il timone in oceano e quella volta le cose non finirono bene: lo skipper perse la vita. Qui la sua storia.
La deriva verso la costa e la decisione critica
Il Quokka cominciò ad andare alla deriva scadendo in direzione della Francia. I quattro si guardarono. Tutti e quattro pensarono la stessa cosa. Laggiù, oltre l’orizzonte, iniziava la placca continentale e con essa le grandi onde frangenti. In quel momento il Quokka navigava in pieno oceano, dove i fondali sprofondavano per diverse migliaia di metri, ma nel punto dove iniziava la placca questi salivano in verticale sino a raggiungere i 150-200 metri e questo provocava un innalzamento altrettanto repentino delle onde.
Trovarsi in quella zona con una barca che non governava voleva dire trovarsi in guai veramente seri.
Presero in analisi la possibilità di lanciare un mayday. In lontananza vedevano le luci di quattro navi: non ci avrebbero messo molto a raggiungerli, sempre che il mayday fosse arrivato a destinazione, ma subito dopo si figurarono la scena. Le grandi navi che accostavano di fianco al Quokka, che non poteva governare. Con tutta probabilità le onde avrebbero fatto schiantare la barca contro la murata della nave. Una cosa troppo pericolosa da poter affrontare.
L’alternativa era gettarsi in acqua e raggiungere una scaletta a nuoto: anche in questo caso le chance di riuscirvi erano poche. Parve chiaro che il posto più sicuro dove stare in quel momento era nel pozzetto del Quokka.
La costruzione del timone di emergenza
Ma non si poteva pensare di rimanere in quelle condizioni, a farsi sbattere dalle onde in attesa che un frangente più duro degli altri avesse fatto scuffiare la barca. La decisione arrivò in pochi minuti: bisognava fare un timone di emergenza.

I quattro si divisero i compiti e cominciarono a darsi da fare. Fecero un piccolo progetto che eseguirono con perizia. Presero due delle porte degli interni della barca, le accoppiarono distanziandole tra loro con altri pezzi di legno in modo da poter mettere l’asse del nuovo timone in mezzo. A questo scopo scelsero il tubo del vang rigido. Fortunatamente era di quelli a sezione rettangolare, più facile da legare.
In poche ore portarono a compimento l’opera e arrivò il momento di portare fuori il nuovo timone e metterlo alla prova. Tutti sapevano che le possibilità che quel timone improvvisato si distruggesse nel giro di pochi minuti erano tante. La barca ballava disperatamente sotto i colpi delle onde che arrivavano sul fianco.
Piano piano, sotto la guida attenta di Peter, misero il timone fuoribordo e lo assicurarono al pulpito di poppa che, fortunatamente, era ben fatto e molto solido. Legarono il tubo del vang al pulpito. Passarono diversi minuti, il timone faceva un grande sforzo a ogni onda, ma resse. I quattro si concessero un sorriso.
Cinque giorni di navigazione difficile
Certo, non era il tipo di timone che gli avrebbe permesso di governare la barca: più che altro suggeriva allo scafo la direzione da prendere, ma era sufficiente. Con il motore al minimo e una veletta da tempesta a prua, la barca lentamente si portò con il mare a poppa.

Erano a 200 miglia dalla costa e la loro velocità era bassissima. Sapevano che ci avrebbero messo dei giorni ad arrivare, e così fu.
Furono cinque giorni duri, molto duri. Il timone richiedeva un enorme sforzo per essere manovrato. Bisognava portarlo a dritta e a sinistra secondo dove si voleva andare, ma al contempo andava tenuto rigidamente per non permettergli di piegarsi.
Peter, Graham, Malcolm e Scott stabilirono turni corti. Cucinarono, mangiarono e dormirono con una regolarità e una calma sorprendente, come se invece di essere velisti fossero soldati ben addestrati.
L'arrivo in Bretagna e il lieto fine
Cercarono di tenersi lontani dalla costa sino a quando non furono sulla perpendicolare di La Trinité-sur-Mer, sulla costa bretone, e lì entrarono in profondità nel golfo sino a riuscire ad arrivare in porto.
Il loro arrivo fu una festa. La gente del posto ci mise poco a capire cosa era successo e li accolsero come fossero dei veri eroi.
Peter, Graham, Malcolm e Scott non hanno partecipato alla Middle Sea Race del 2025, ma, in compenso, si sono procurati una storia da raccontare ai loro nipoti che non ha eguali. Una storia che parla di esperienza, caparbietà, sangue freddo e profonda amicizia: gli elementi che gli hanno permesso di sopravvivere a uno degli incidenti più brutti che può subire una barca, la perdita del timone.
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