
Il caso della morte di Giovanni Marchionni, 21 anni, originario di Bacoli, trovato senza vita a bordo di uno yacht alla Marina di Portisco in Costa Smeralda, continua a sollevare interrogativi che vanno ben oltre le cause del decesso.
L’incidente è avvenuto nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2025. Marchionni è stato rinvenuto all’interno dell’imbarcazione, un motoscafo di circa 17 metri costruito dal cantiere Fiart Mare e di proprietà della famiglia di Luggo, storici imprenditori napoletani alla guida dello stesso cantiere. A bordo non c’erano altre persone: il giovane era solo, dettaglio che ha da subito alimentato dubbi sul reale rapporto tra la famiglia Luggo e il giovane.
Il rapporto di amicizia
Rapporto che, nell’immediatezza del ritrovamento, è stato descritto come di amicizia. Secondo la famiglia Luggo, il giovane era a bordo in veste di amico di famiglia, invitato a trascorrere una vacanza in Sardegna. Ma la ricostruzione non convince.
Parte della popolazione di Bacoli, il comune dove viveva Marchionni e dove ha sede il cantiere Fiart, e lo stesso sindaco, non credono alla versione dell'amico di famiglia in vacanza in Sardegna. In paese tutti si conoscono bene. .
Dubbi e contraddizioni
Da un lato qualche perplessità il fatto che nessun membro della famiglia Luggo non abbia presenziato ai funerali del ragazzo né ha inviato un messaggio di cordoglio, comportamento inusuale in una cultura come quella napoletana, tradizionalmente attenta alle forme del rispetto nei momenti di lutto. Altri interrogativi nascono dall'assenza a bordo di uno skipper o almeno di un marinaio per accudire la barca. È difficile immaginare che i proprietari del mezzo possano e vogliano occuparsi personalmente delle incombenze quotidiane della gestione di bordo. Nessuno può immaginare Anna Luggo con lo spazzolone a pulire la coperta del suo yacht dopo un’uscita in mare.
Se Marchionni era davvero ospite, perché lasciarlo da solo a bordo della barca, senza personale qualificato a sovrintendere alla sicurezza? Se invece svolgeva un ruolo di custodia, assistenza o skipperaggio, la sua presenza rientrerebbe in un rapporto di lavoro, che però — secondo quanto trapela — non risulta formalizzato con alcun contratto.
Ed è qui che il giallo assume un rilievo giudiziario. Se venisse dimostrato che Giovanni Marchionni lavorava effettivamente per la famiglia Luggo, ma senza un contratto di assunzione, si configurerebbe un caso di lavoro nero, con gravi conseguenze sul piano legale. La normativa italiana è chiara: l’impiego irregolare, soprattutto in settori come quello nautico dove la sicurezza è cruciale, comporta responsabilità civili e penali per i datori di lavoro.
L’inchiesta aperta dalla Procura di Tempio Pausania per omicidio colposo contro ignoti dovrà chiarire le cause della morte — ipotesi di malore, intossicazione o altro — ma inevitabilmente dovrà anche accertare la posizione giuridica di Giovanni Marchionni. Se fosse provato che non era un semplice amico, bensì un lavoratore senza contratto, la responsabilità della famiglia di Luggo sarebbe diretta e pesante.
Al momento, la discrepanza tra le dichiarazioni ufficiali e i comportamenti concreti dei proprietari dell’imbarcazione resta la chiave di lettura più oscura di questa vicenda. Perché, se davvero Giovanni era un ospite di famiglia, non è stato trattato come tale né in vita né, soprattutto, dopo la sua tragica morte?
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