Mogadiscio - Momenti tragici e di grande difficoltà per l'equipaggio della
Savina Calylyn, la petroliera italiana presa in ostaggio dai pirati somali lo scorso mese di febbraio. L'ultimatum imposto dai banditi, che avevano chiesto un riscatto di sedici milioni di dollari, è scaduto e tre dei cinque italiani che costituiscono l'equipaggio (ci sono anche diciassette persone di nazionalità indiana) sono stati trasferiti a terra in un luogo non precisato. “Siamo allo stremo delle nostre forze mentali e fisiche – si legge in un fax firmato dal comandante e dal direttore di macchina della petroliera italiana – e perciò ci appelliamo alla vostra pietà e a quella di tutto il popolo italiano, soprattutto del nostro governo. Sono trascorsi ormai tre mesi e mezzo di stenti e sofferenze durante i quali la nostra compagnia di navigazione (la società napoletana Fratelli D'Amato, ndr) non è riuscita a risolvere il negoziato, affermando a noi e alle nostre famiglie che la trattativa era in corso. Invece l'amara realtà è che il negoziato è bloccato da più di due mesi, quindi il gruppo di pirati, per porre ulteriore pressione, ha trasferito tre nostri connazionali a terra con ulteriore, evidente pericolo per la loro vita. Viviamo in una situazione tragica, con scarsità di cibo, acqua e combustibile. I medicinali sono finiti e alcuni membri dell'equipaggio presentano malattie della pelle e traumi. Il pericolo di perdere la vita è incombente e continuo, siamo segregati e viviamo tutti sul ponte sotto la continua minaccia di armi automatiche”.
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