Le famiglie dei sei americani a bordo chiedono a gran voce che sia inviato un ricognitore per controllare cosa sia effettivamente quella macchia che appare sulla fotografia del satellite. Da parte loro le autorità americane dichiarano che quella traccia a 4 mesi dalla scomparsa del Nina è troppo poco per tornare a fare ricerche. La traccia del satellite è molto distante e per controllare non è sufficiente un piccolo aereo, ma servirebbe un ricognitore militare che la marina non è disposta a mettere in campo.
Per chi è rimasto a casa accettare la scomparsa dei propri cari è molto difficile. I genitori di Danielle Wright, una diciannovenne che voleva fare della vela la sua vita, non si rassegnano e stanno facendo di tutto per far si che la marina si muova e vada a controllare la fonte di quella traccia.
Le possibilità che il Nina sia alla deriva sono oggettivamente molto scarse. Dopo quattro mesi una barca di quelle dimensioni sarebbe stata avvistata. D’altronde, nonostante le ricerche siano state intense nei giorni subito dopo la scomparsa, della barca non è mai stata trovata alcuna traccia e pensare a un affondamento senza neanche un relitto, un salvagente, un pezzo di legno in mare, è difficile.
L’equipaggio del Nina è composto dalla famiglia dello skipper David Dyche, di 58 anni, con la moglie Rosemary, di 60 anni, e il figlio David di 17 anni e dai loro amici Evi Nemeth, di 73 anni, Kyle Jackson di 27 e Danielle Wright di 19, tutti cittadini americani, oltre a Matt Wooton di 35 anni, cittadino inglese.
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