In questo articolo esploreremo la storia e le funzionalità del timone a vento, analizzandone i vantaggi e gli svantaggi e fornendo consigli utili per sfruttarne al meglio le potenzialità.
Come un semplice dispositivo ha rivoluzionato la storia della navigazione
Navigando vi sarà capitato di perdere per un periodo più o meno lungo l’uso di un qualche componente della vostra barca. Un rollafiocco che vi impedisce di aprire la vela, il salpa-ancora che vi relega in un medioevale alaggio a mano o un più classico alternatore che vi lascia senza elettricità.
Ma, se ne siete rimasti privi anche solo per un pomeriggio, converrete che fra tutte le comodità di cui può capitare di privarsi, l’autogoverno è quella che più incupisce l’orizzonte del navigatore: le conseguenze sono infatti interminabili, ininterrotte ore alla barra.
Oggi l’autogoverno è un accessorio scontato a bordo dei nostri yacht, eppure solo 50 anni fa, l’idea di poter abbandonare il timone della barca per ore o addirittura per giorni, era un campo ancora da scoprire. Ci riferiamo qui all’autogoverno in generale e non di piloti a vento perché inizialmente il problema era proprio l’emanciparsi dalla schiavitù della barra, qualsiasi fosse la soluzione meccanica o elettromeccanica a consentirlo.
Chi fa navigazione a vela blue water ovvero crociere d’altura sa che l’autopilota elettrico non è l’unica soluzione possibile. Mettiamoci quindi nell’ordine di idee di considerare pilota a vento ed elettrico come soluzioni non antagoniste ma, come vedremo meglio in seguito, complementari.
La storia del timone a vento
Anche se oggi può sembrarci strano, i piloti elettrici e i piloti a vento sono nati più o meno nello stesso periodo. A sollecitarne lo sviluppo furono infatti le prime regate oceaniche in solitario, la Ostar su tutte. In un ambient
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