L’articolo inizia descrivendo una scena che nessun velista vorrebbe mai vivere. - Libby Greenhalgh (il navigatore n.d.r.) era seduto al posto del navigatore sottocoperta quando si sentì il grido del timoniere ripetuto più volte “Man overboard – Man overboard”.-
Quando fuori ci sono 35 nodi con raffiche che superano i 45 e le onde salgono verso il cielo sino a 4 – 5 metri, chiunque sa che quel grido potrebbe preannunciare la morte di un compagno di equipaggio.
L’articolo del New York Times continua con l’azione del timoniere.
- Il timoniere schiacciò il bottone rosso di ‘uomo in mare’, che avrebbe dovuto attivare la registrazione del punto nave in cui l’uomo è caduto, ma nella concitazione degli eventi non tenne premuto il pulsante per i 4 secondi richiesti.-
La registrazione non avviene e Jhon Fisher si perde definitivamente in mare. La barca non riuscirà più a ritrovarlo.
A bordo c’è il caos, la barca è caduta da un’onda e a strambato, il paranco di scotta ha colpito violentemente Fischer lanciandolo in mare, svenuto, in molti sperano.
Tutti sono concentrati nel riprendere il controllo della barca, passano i minuti, Scallywag continua a macinare acqua volando sulle onde. Alla fine, quando Witt, lo skipper della barca, riesce a riprendere il controllo e a girare la barca per tornare indietro a cercare Jhon, è troppo tardi, nessuno sa dove cercare.
Con quelle onde la visibilità è limitata a poche decine di metri e solo quando la barca si trova sulla cresta dell’onda, quando si scende nel cavo l’orizzonte si ferma al muro d’acqua che si ha davanti.
Il navigatore ha tracciato un quadrato approssimativo di dove potrebbe trovarsi Jhon, per la sua vastità occorrerebbero molti mezzi per fare una ricerca con qualche possibilità di successo, ma la prima nave che sta correndo in loro soccorso è a due giorni di mare.
Quattro dannati secondi e Jhon si è perso in mare. Non bisogna dare giudizi perché la situazione in cui si è svolta l’azione era sicuramente una situazione estrema, ma un uomo è morto e se non è svenuto nella caduta, è morto di una morte lenta e atroce, perciò almeno una domanda bisogna porsela: quante volte il timoniere dello Scallywag ha schiacciato quel bottone durante gli allenamenti? Perché per lui non è stato istintivo tenere il bottone premuto come quando si schiaccia il pedale del freno per evitare uno scontro?
Questa Volvo Ocean Race ha pagato, sino ad ora, un tributo altissimo in vite umane: un pescatore cinese che non sapeva neanche cosa fosse la Volvo spazzato via dallo scontro con Vestas che procedeva a venti nodi in un tratto di mare affollato e di notte, e Jhon Fisher finito in mare perché non era legato e mai ritrovato perché il suo timoniere non ha tenuto premuto quel dannatissimo bottone rosso.
Articolo del New York Times
https://www.nytimes.com/2018/04/18/sports/volvo-ocean-race.html
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