John Fischer, inglese, 47 anni, quando è caduto in mare ieri mattina all’alba, indossava la tuta di sopravvivenza, ma i suoi compagni di team che lo hanno cercato per tutto il girono, hanno ritenuto che anche con la tuta, non sia riuscito a sopravvivere alle condizioni di mare e vento che imperversano nella zona e che sono previste in peggioramento.
Vento a 37 nodi e onde tra i 4,5 e i 6 metri, una situazione in cui individuare un uomo in mare è un’impresa disperata. Per questo Witt, lo skipper di Scallywag e i suoi hanno deciso che era inutile proseguire la ricerca durante la notte e hanno messo la poppa al mare facendo vela verso il Sudamerica a 1200 miglia di distanza.
Alcune fonti dicono che il Maritime Rescue Coordination Centre stia continuando a far convergere una nave verso il punto dell’incidente e abbia coinvolto altre unità, mentre un media australiano asserisce che anche l’MRCC abbia sospeso le ricerche per via deel condizioni meteo in continuo peggioramento.
Il punto in cui è caduto in mare Fischer non permette l’impiego di elicotteri che comunque con quelle condizioni meteo difficilmente si sarebbero potuti muovere.
In pratica non c’è stata la possibilità di organizzare dei soccorsi efficienti. Un mare troppo agitato per pensare che la barca a vela potesse fare realmente qualche cosa, delle navi troppo lontane per poter arrivare in tempo utile, una distanza da terra ben oltre il raggio di azione degli elicotteri da soccorso. Non c’è stato un solo elemento a favore di Fischer.
L’incidente è avvenuto durante quella che è considerata la più dura delle tappe della Volvo Ocean Race, da Aukland, in Australia a Bja in Brasile, 7600 miglia negli oceani del sud a sfiorare la linea degli iceberg.
Abby Ehler, skipper di Brunel, negli ultimi giorni aveva indicato le condizioni in cui si stava navigando come “condizioni di sopravvivenza”.
Fischer non è la prima vittima della Volvo Ocean Race, prima di lui ci furono tre vittime nella prima edizione della Whitbread Round the World Race, come una volta si chiamava la Volvo Ocean Race. Nell’edizione del 1989-90 fu la volta di Tony Philips che navigava su Creighton’s Naturally e, infine, toccò a Hans Horrevoets su Abn Amro Two, che cadde in mare nella settima tappa dell’edizione del 2005-2006. L’equipaggio fu eccezionale e, nonostante le proibitive condizioni metereologiche, Horrevoets fu recuperato in 40 minuti, ma la temperatura dell’acqua non gli aveva lasciato scampo.
Se ogni tragedia deve insegnare qualche cosa per poter aumentare i livelli di sicurezza, ora bisognerà capire le dinamiche dell’incidente. Dai comunicati della Volvo non si capisce n cose consistesse “l’attrezzatura di sicurezza” di cui era dotato Fischer al momento dell’incidente. Questa includeva un localizzatore? Fischer aveva un fumogeno con se, era legato quando è caduto? Tute risposte che potrebbero aiutare a capire la dinamica dell’incidente.
© Riproduzione riservata