Luciano Piazza narra la sua avventura oltre il circolo polare artico in Norvegia a novembre. Tra paesaggi innevati e città remote, l'autore esplora le sfide e le meraviglie di queste terre
Il sole che dalla finestra aperta entra nella mia casa di Roma mi infastidisce come se fosse estate, anche se il calendario indica che siamo in novembre già da qualche giorno. Mentre ambientalisti e negazionisti climatici discutono da tempo se il caldo asfissiante e infinito degli ultimi anni sia dovuto all’inquinamento umano o faccia parte del normale avvicendarsi delle ere geologiche, il dato certo è che il fenomeno sta incidendo sulle nostre vite in modo profondo, sia per il disagio che crea in molte persone (chi scrive è fra quelle) sia perché sta cambiando molte nostre abitudini.
Tra queste la scelta delle mete turistiche: dove un tempo si andava in cerca di caldo, ora si rischia di trovare temperature torride; viceversa, sono diventate appetibili località che prima erano frequentabili solo in piena estate.
La ricerca, o forse il bisogno, di un po’ di fresco è tra le ragioni che mi hanno spinto ad andare a navigare in alta Norvegia in pieno autunno, quando in Italia generalmente si comincia a disarmare la barca perché la stagione volge al termine.
Dopo un volo di alcune ore, comprensive di un breve scalo a Helsinki, atterro a Tromso, una cittadina di circa sessantamila abitanti situata oltre il circolo polare artico, il parallelo più meridionale.
Qui in estate si può vedere il sole di mezzanotte e d’inverno la nostra stella non sorge mai sopra la linea dell’orizzonte. Si tratta di una linea immaginaria, tracciata sulle carte e sui mappamondi, ma che evoca immediatamente luoghi estremi e inospitali in cui la natura la fa da padrone.
Recupero il mio bagaglio con gran sollievo, dato che smarrirlo avrebbe significato una vacanza
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