
A metà gennaio in Sud America si è registrato un pesante sversamento di petrolio che ha interessato in particolare le coste del Perù.
Un fatto che è passato in sordina nei media mainstream, ma ci ha pensato il nuovo governo peruviano negli ultimi giorni ad accendere i riflettori sulla vicenda.
Secondo l’esecutivo di Lima, il bilancio dello sversamento è di 9 spiagge contaminate con due riserve protette, per una stima di 6 mila barili di petrolio finiti in mare.
Il disastro ambientale è avvenuto in seno alle attività della multinazionale spagnola Repsol, contro la quale punta il dito il governo del nuovo presidente cileno Pedro Castillo.
L’incidente sarebbe avvenuto durante il trasbordo del greggio da una petroliera in mare verso una delle raffinerie della Repsol a terra.
Ad innervosire ulteriormente le autorità peruviane sarebbe stato l’atteggiamento poco collaborativo della compagnia multinazionale, che ha di fatto quasi negato e minimizzato l’accaduto nei primi giorni, additando addirittura tra le cause del versamento lo tsunami delle Isole Tonga.
Negli ultimi giorni sarebbe emersa fra l’altro anche una seconda perdita di petrolio le cui cause sono in corso di accertamento.
Il disastro ambientale è stato definito in Perù come il più grave che il paese abbia mai subito, il presidente Castillo ha disposto lo stop di tutte le attività della Repsol nelle acque di competenza del paese, dichiarando anche che verranno intraprese tutte le azioni possibili per tutelare gli interessi e l’ambiente marino del Perù.
Una presa di posizione netta e quasi senza precedenti su questo tema.
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