Il motivo della rinuncia alla caccia da parte delle due società islandesi impegnate nel business della carne di balena risiede nel cambiamento delle abitudini alimentari derivante da un cambiamento culturale.
In Islanda, dove nel 2002 bisognò riaprire la caccia alle balene chiusa negli anni ’90 perché la popolazione protestava e voleva la carne di cetaceo, oggi la richiesta è crollata. I giovani che hanno sviluppato una coscienza ecologista non vogliono mangiare carne di balena, e così, lentamente, sono rimasti in pochissimi a richiedere questo alimento.
Al cambiamento dei costumi si aggiungono le leggi restrittive messe in campo dal governo che ha delimitato le aree di pesca. Le due cose messe insieme hanno reso non più conveniente la caccia e le due compagnie islandesi vi hanno rinunciato.
Si spera che in Norvegia e in Giappone accada la stessa cosa.
Nel 1986 l’International Whaling Commission emanò una moratoria mondiale contro la caccia alla balena perché i grandi cetacei, fu accertato, erano a rischio estinzione.
A quella moratoria si sottrasse, come abbiamo detto prima, l’Islanda e il Giappone con delle leggi nazionali che permettevano la caccia. Il Giappone inoltre aggirò la legge mascherando la sua caccia alla balena per scopi commerciali come un’azione volta allo studio scientifico dei grandi cetacei.
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