Denunciato l’avvistamento, la Capitaneria Greca gli ha chiesto di non allontanarsi dal piccolo kecth sul quale si trovavano i profughi. Di seguito la pagina del giornale di bordo sulla quale la lettrice ha riportato i fatti. Il racconto della sua avventura, un'avventura che potrebbe capitare a molti di noi.
Giornale di bordo, 3 agosto 2016
"Ma cosa fa quella barca a vela?" Calma di vento, è metà mattina. Stiamo risalendo a motore il capo Matapan e siamo a un miglio circa dalla baietta dove siamo diretti. Sentiamo ora anche delle urla, vediamo persone in coperta che agitano le braccia."Help!" "Engine!" E' un piccolo ketch, niente bandiera, mezzo issato ha un genoa come uno straccetto, cordini che penzolano qua e là, una scaletta legata a un sartia... Qualcosa non torna.... Ci avviciniamo. Non ci posso credere: in queste acque, su una barca a vela con tanto di radar . ..Ma non c'è dubbio: sono profughi-sembrano africani- in avaria. Grazie al cielo si vede che non stanno per affondare. Nome illeggibile in caratteri greci sulla poppa. C'è anche un tender più verso la costa con qualcuno a bordo. Gli diciamo che chiamiamo i soccorsi, a gesti, poi notate le coordinate riprendiamo a far rotta verso la baia prevista. "Prima andiamo ad ancorarci", fa il nostro capitano. "No, chiamiamo ora, dice mio marito. Il capitano riesce a trovare il canale della guardia costiera. Lunghe telefonate tra loro e noi, e finalmente ci dicono che mandano una barca, che hanno contattato un peschereccio locale a un miglio e mezzo dalla nostra posizione e di andare a indicargli dove è la barca da soccorrere.
Noi restiamo in stand-by, come richiesto. I tre pescatori fanno imbarcare i profughi. Montano uno per uno. Non solo gli otto visti in coperta: 30 o forse più persone escono dalla cabina. Uomini, donne col chador, bambini. In tanti sono bianchi.
Intanto arriva il gommone promesso dalla guardia costiera, che però se ne va a tutta velocità verso un autogonfiabile rosso, abbandonato, che abbiamo visto raggiungere il tender. Chiaramente va in cerca del tender che ora è sparito. Sono gli scafisti in fuga? Il peschereccio intanto, preso al traino il ketch su cui ha messo uno dei pescatori, punta verso terra. Due uomini a poppa ci salutano ed mi emozionano: fanno il thumbs- up. Ma sul ketch il pescatore non riesce proprio a neutralizzare il genoa. Prende vento, che ora è montato, e porta a sbattere in continuazione la barca contro il peschereccio. Viene mollato il traino. Il peschereccio si ferma e anche noi restiamo di conserva.
Torna dopo un po' il gommone con il tender al traino e, vedremo poi, 3 uomini a bordo. Che non vengono trasferiti sul peschereccio. Uno degli agenti monta a bordo del ketch ma non riesce a combinare niente col genoa. Da dietro il capo spunta una motovedetta, anche lei modernissima, sempre della Limina Ellenika . Grandi conversazioni con le radioline tra di loro tutti; poi il ketch viene lasciato per il momento, sembra, al suo destino, e il peschereccio riprende ad andare, scortato e con noi dietro, verso la baia.
Sollievo: sembra finita, e neanche male. Invece appena stiamo per ancorare ci chiama la motovedetta. "Ci sono dei dispersi. Dobbiamo andare a cercarli". Cosa troveremo, se li troviamo, dopo tutte queste ore? Cadaveri, e quanti? A noi tocca la costa ripidissima e rocciosa, loro cercano più al largo. Sbinocoliamo, passa una mezz'oretta. E poi, su uno sperone due uomini col giubbotto: vivi. Ci dicono di stare lontani mentre il gommone va a prenderli. Saranno anche loro scafisti? O solo profughi incauti? Che però si erano messi addosso due dei pochi giubbotti disponibili- anche quelli sul tender avevano i salvagenti...
Adesso è veramente finita. La motovedetta punta ora verso il largo per il ricuperare il ketch, che sospinto dal genoa indomabile è andato bello lontano.
Finalmente all'ancora, vedo gli sbarchi ancora in corso dal peschereccio: un gruppo di donne e ragazzini ( due bimbi di pochi anni verranno portati sul pontile in braccio, con attenzione, dagli agenti ); poi uomini e ragazzi bianchi (siriani?), e una donna su una lettiga. Tutti in fila dietro gli agenti: dignitosi, pazienti. Poi aspettano sotto un albero di essere portati via. Tra i pochi turisti che si fanno da parte in questo villaggio un po' morto, con taverne linde e case ristrutturate e vuote.
Per noi ora è finita, con un breve ringraziamento dalla motovedetta. Abbiamo fatto quello che dovevamo; eppure ci sembra poco, e niente di che stappare una bottiglia. Per i profughi non so proprio immaginare come finirà.
La lettrice ci segnala anche un indirizzo per chi vuole dare una mano in questa tragedia dei profughi di guerra.
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