Ci sono navi sulla spiaggia, portate dalla burrasca, navi in mezzo al mare incagliatesi sugli scogli, navi che si sono arenate a poche decine di metri dal bagnasciuga. Per loro un unico “minimo comune denominatore”, la ruggine. Ammassi di ruggine marrone che mostrano un passato senza futuro. Pescherecci, piccoli e grandi cargo, navi cisterna.
Nel mondo esistono altri luoghi come Nouadhibou, ce ne sono in India e in Pakistan. In Namibia c’è un posto dal nome evocativo Skeleton Island (l’isola dello scheletro), dove lo spettacolo è simile a quello che si vede nelle coste della Mauritania.
Poi ci sono luoghi dove non ci si aspetterebbe di trovare questi relitti lasciati lì ad aspettare il passare dei secoli per diventare polvere, come Staten Island, davanti a New York, nome che ricorre spesso nelle nostre cronache per il passaggio di diverse regate importanti.
Qui, le navi, sono affondate e, con il tempo, sono entrate a far parte dell’ambiente marino diventando un motivo di attrazione per le centinaia di sub che ogni anno vengono ad esplorarle.
Un altro cimitero di ruggine si trova a Landévennec in Bretagna, dove a giacere sul bagnasciuga sono prevalentemente navi militari.
Il più singolare dei cimiteri di navi si trova in Australia e si chiama Curtin Artificial Reef dal cui nome si può capire la sua particolarità: qui le navi affondate si sono trasformate in una barriera corallina e alcune di queste sono, ormai, indistinguibili dalle rocce dei fondali.
© Riproduzione riservata