Sergio, nato in Francia da una famiglia italiana, originaria di Montecassino da dove è emigrata dopo la guerra, ha vissuto in Brasile e in ultimo in Australia dove si è sposato. Negli anni ottanta faceva l’operaio metallurgico a Brisbane (Australia) e aveva un sogno, fare il giro del mondo a vela.
Ci pensò su due anni, poi decise, in tre mesi si costruì da solo la barca in alluminio, lamiera da 3 millimetri, 3,55 metri di lunghezza per 1,50 di larghezza, un guscio di noce all’interno del quale poteva stare solo o accucciato o sdraiato, se voleva alzarsi in piedi doveva farlo nel microscopico pozzetto.
Lavorò nel piccolo cantiere di riparazioni nautiche che aveva messo in piedi con i fratelli.
Le dotazioni di bordo erano quello che si possono definire essenziali: un V.H.F. portatile.
Quando la madre vide per la prima volta quella barchetta giallo canarino che non aveva nella bellezza la sua qualità migliore, esclamò in italiano:“Che cos’è questo accrocco?”. Sergio fu colpito da quell’esclamazione e storpiandola in inglese arrivò al nome di Acrohc Australis.
Sergio partì nel 1984. I giornali locali, che si erano accorti dei preparativi del viaggio del 34enne italiano, lo consideravano un italiano matto che non sarebbe arrivato a cento miglia da costa. Testa viaggiò con il suo accrocco per tre anni passando innumerevoli tempeste e spiaggiando per ben tre volte. Rientrò in Australia nel 1988 e fu accolto da eroe australiano.
Pochi soldi e poca esperienza di mare. Sergio aveva avuto altre due barche, ma non aveva mai fatto navigazioni impegnative eppure è riuscito a fare l’intero giro del globo passando per i capi e, ancora oggi, nessuno si è avvicinato alla sua impresa che rimane scolpita nel libro dei record come una delle prove di quello che può fare la forza di volontà dell’uomo.
Oggi sul Secolo XIX, in edicola, la storia completa a firma di Fabio Pozzo.
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