
“Chi terzeruolo e artimon rintoppa” scriveva Dante Alighieri nel XXI canto dell’Inferno della sua Divina Commedia, raccontando delle navi dei Veneziani e dandoci così conferma che il termine già nel 1200 veniva utilizzato, ma in realtà lo era già da molto prima. Il sostantivo maschile terzaruolo, o terzarolo, da cui deriva il verbo terzarolare, anticamente stava a indicare la terza, e più piccola, delle vele latine sulle galee. Questa piccola vela, che rimaneva issata anche nel vento forte, era circa un terzo della più grande, da qui l’origine del nome.
Nelle navi a vele quadre era invece la più piccola e alta, che rimaneva issata nel tempo duro. Solo tempo dopo si è capito che era meglio ridurre in senso opposto, eliminando superficie velica in alto e lasciandola in basso, ma parliamo già di concetti che fanno parte della vela moderna.
In italiano sia il termine terzaruolo che terzarolo sono corretti, tuttavia nel linguaggio parlato, ma anche nello scritto, oggi viene preferito il secondo. Diciamo che terzaruolo ha più una valenza letteraria, ormai di scarso o nullo utilizzo.
Oggi il termine, inteso come presa della mano di terzaroli, indica appunto la riduzione della superficie velica della randa, e l’ampiezza della mano, variabile, in alcuni casi può essere di circa un terzo rispetto alla superficie totale della vela.
Nelle navi antiche come dicevamo, a differenza delle rande moderne, la riduzione della superficie velica poteva avvenire dal basso verso l’alto e non come facciamo quando comunemente terzaroliamo sulle barche di oggi.
Il motivo per cui si preferisce fare al contrario oggi è semplice: più superficie velica c’è nella parte alta dell’albero, più la barca sbanderà, in caso di vento forte quindi la cosa più logica ed efficace da fare è ammainare una porzione di randa.
Ma la randa è l’unica vela su cui si possono prendere le mani di terzaroli? Niente affatto.
Oggi oltre a terzarolare la randa possiamo fare in alcuni casi la stessa cosa con le vele di prua.
Nelle barche che fanno regate d’altura in doppio per esempio, che non utilizzano l’avvolgitore, vengono a volte progettate delle vele di prua con una o più mani di terzaroli e opportuni rinforzi. La presa della mano di terzaroli avviene in modo molto simile che con la randa, utilizzando delle borose per avvolgere la porzione di vela che viene ammainata.
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