Negli ultimi 10 mesi un numero elevato di superyachts ha fatto la stessa fine dell’Hidalgo: a dicembre un Benetti di 36 metri, l’Andiamo, costruito nel 2006, è stato distrutto dalle fiamme mentre era in porto; a febbraio sul Pamela IV, un 31 metri del 1962 in acciaio e legno, è divampato il fuoco mentre questa si trovava a terra in un cantiere ligure; a marzo è bruciato un Explorer 85 del cantiere Terranova mentre si trovava all’ormeggio nel cantiere di Viareggio e ad agosto è andato a fuoco il Lady MM, un 48 metri del cantiere italiano ISA Yachts.
Questi sono solo le barche a noi conosciute che si trovavano in Italia o che sono riconducibili ad armatori italiani, ma molte altre sono le barche sopra i 24 metri che sono andate a fuoco nel corso del 2020.
Un numero tanto elevato da far nascere la domanda, perché. Perché è così facile che un superyacht vada a fuoco.
La domanda l’abbiamo rigirata a un comandante di superyacht di lunga data, il quale però, per rispondere, ha chiesto l’anonimato.
SVN – Comandante lei sono oltre 40 anni che naviga sui superyachts perché, secondo lei, i casi di incendio a bordo sono così tanti e, soprattutto, perché sono aumentati di molto negli ultimi dieci anni?
C – I motivi sono molti. Da una parte c’è sicuramente l’aumento continuo di questo tipo di imbarcazioni e la loro lunga vita. Più aumentano le barche, maggiori sono, a livello statistico, le probabilità che si verifichino degli incidenti.
Un altro motivo è il calo di professionalità degli equipaggi. Negli ultimi dieci anni, forse a causa della crisi economica, forse perché nel settore superyacht entrano sempre più armatori completamente a digiuno di cultura nautica, vengono assunti equipaggi non preparati, persone che non hanno fatto alcuna scuola o nessun apprendistato. Ho visto reclutare marinai in banchina chiamando a bordo persone senza nessuna preparazione, gente che le barche le aveva sempre viste dalle banchine. Questo però si verifica soprattutto sulle barche molto vecchie e destinate al charter, mentre sulle barche più giovani e grandi gli equipaggi hanno raggiunto livello di preparazione molto alti.
L’altro problema sono gli ospiti.
SVN – Ovvero?
C – Spesso a bordo ci sono feste a cui partecipano persone di ogni tipo, molte delle quali non riescono a capire che una barca è un oggetto delicato. Ci sono sospiti che spengono le sigarette schiacciandole sui tavoli, chi le butta per terra o nei cestini dove si gettano carta e altri rifiuti secchi.
SVN – Ma la maggior parte degli incendi avviene con le barche in porto.
C – Sì e la maggior parte delle feste avviene in porto. Lei butta una sigaretta accesa sotto un letto, quella per sviluppare un incendio visibile ci mette ore, l’incendio scoppierà dopo molte ore dalla fine della festa. Poi c’è la manutenzione e anche la costruzione.
SVN – Per la manutenzione è facile intuire che una cattiva cura del mezzo può dare vita a incidenti, ma la costruzione?
C – Molte barche che costano decine di milioni e hanno decine di certificazioni, presentano criticità nascoste che prima o poi si conclamano in qualche incidente. Quelle criticità possono avere solo due origini, o la costruzione della barca fatta in modo un po’ troppo superficiale, e i cantieri che lo fanno non sono pochi, o la manutenzione. Si è mai chiesto come una barca di recente costruzione, che dovrebbe avere a bordo sistemi di sicurezza di ogni tipo e aver passato diversi collaudi, possa andare a fuoco per un corto circuito? A creare un corto circuito non ci vuole poco, ma se gli errori si sommano, alla fine ci si arriva. Infine c’è il dolo.
SVN – Il dolo, ovvero l’incendio appiccato volontariamente?
C – Sì, l’armatore in difficoltà economiche o che sa che dalla vendita dell’imbarcazione guadagnerebbe meno di quello che riuscirebbe ad ottenere dall’assicurazione, organizza l’incendio della nave.
SVN – Ma un incendio doloso lo si scopre con una certa facilità.
C – Non sempre, c’è chi sa come non fa apparire il dolo.
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