
Le dittature, di qualunque matrice politica esse siano, si nutrono tutte della medesima ostentazione di forza e potere, anche quando (o soprattutto) né l’una né l’altra hanno basi solide e realistiche.
Sarà forse per questa ragione che i dittatori possiedono spesso grandi yacht, vere e proprie città galleggianti del lusso estremo, costruite a spese di popolazioni affamate ma acclamanti. Ed è per questo che quando le dittature vengono abbattute, sui suoi simboli si accaniscono con particolare veemenza i suoi nemici.
Non è sfuggito alla regola Saddam Hussein, il dittatore iracheno rimasto al potere dal 1979 al 2003 e impiccato nel 2006 dopo due guerre con l’Occidente, che di navi ad uso personale ne possedeva più di una, la più grande delle quali, Al Mansur, di 121 metri di lunghezza, ha seguito il tragico destino del suo armatore.
Nel 2003, quando gli Stati Uniti erano in procinto di attaccare l’Iraq, Saddam Hussen ordinò di trasferire la nave dal suo ormeggio abituale nel porto di Umm Qasr, al confine con il Kuwait, a Bassora, che era in una posizione strategicamente più protetta, con il doppio proposito di metterla al riparo ma anche di utilizzarla a fini bellici in quanto provvista di protezioni di livello militare oltre che di una sala operatoria.
Sembra che le forze armate statunitensi abbiano intercettato una comunicazione via radio che ne rivelava la navigazione lungo il fiume Shatt Al Arab e abbiano deciso di attaccarla con aerei da caccia che con alcune bombe l’hanno resa inutilizzabile. Triste nemesi per uno scafo il cui nome tradotto significa “Il vincitore”.
Al Mansur, dono della famiglia reale saudita al dittatore iracheno, era stata terminata nel 1982 presso un cantiere finlandese, ma la sua consegna venne rinviata a causa della guerra allora in corso con l’Iran e solo l’anno successivo il regalo raggiunse il suo destinatario.
Costruita senza badare a spese sul modello dei grandi hotel arabi, faceva sfarzo di materiali preziosi di ogni tipo, da marmi pregiati e legni esotici oltre che tappezzerie e suppellettili d’argento e oro massiccio.
Per questa ragione gli iracheni non si limitarono a osservare compiaciuti la distruzione del simbolo di un potere che li ha portati a combattere diverse guerre lunghe e sanguinose, ma appena la nave ha smesso di bruciare hanno provveduto a saccheggiarla di tutto quanto possibile e infine a tagliarne pezzi da rivendere come rottame di ferro. Essendo zona di guerra, non c’era un’autorità costituita che potesse impedirlo.
Dopo alcuni anni è stata infine affondata vicino ai bacini di carenaggio di Bassora, sui cui fondali giacciono altre navi, naufragate o distrutte durante qualche bombardamento. Il problema principale, al momento, è costituito dall’inquinamento dell’acqua che la presenza di questi grandi scafi provoca.
Un danno collaterale, forse poca cosa rispetto alla tragica distruzione che ha subito l’Iraq e alle enormi sofferenze che ha patito la sua popolazione. Uno di quegli strascichi delle dittature che si protraggono purtroppo per molti anni dopo la loro destituzione.
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