Quaranta navi, venti pescherecci, dieci aerei hanno scandagliato tratti di oceano giganteschi affrontando una tempesta con onde di oltre 5 metri che ha messo a repentaglio la sicurezza di diverse navi, tutto inutilmente.
Ora le ricerche continuano, ma solo per arrivare a rintracciare lo scafo e determinare cosa sia realmente successo.
Nei giorni della ricerca, lentamente, sono venute alla luce pillole di verità somministrate con molta cautela e parsimonia dalla Marina Militare Argentina all’opinione pubblica.
Da prima si è capito che a bordo del San Juan c’è stata un’esplosione. Lo si è capito per un rumore captato dalle strumentazioni elettroniche nel tratto di mare in cui si presume si trovi il San Juan.
Poi, piano, piano, si è fatta strada la verità sull’esplosione, e ora i militari ammettono di aver sempre saputo tutto. Il sottomarino nella sua ultima comunicazione aveva fatto sapere di avere un’infiltrazione d’acqua nello scafo nel locale batterie che aveva determinato un corto circuito, ma che poi la situazione era risolta.
L’ipotesi ora è che la situazione fosse più grave di quello che i tecnici del San Juan abbiano potuto pensare e che alla riparazione del danno sia poi seguita l’esplosione. Esplosione di cui non si conosce la natura, ma che con tutta probabilità è connessa ai danni alle grandi batterie del sottomarino.
L’esplosione nella sala batterie ha messo fuori gioco la maggioranza degli impianti di bordo impedendo al sommergibile di comunicare, ma difficilmente ha ucciso tutti gli occupanti del battello. I sopravvissuti avrebbero quindi atteso inutilmente l’arrivo dei soccorsi sino a quando l’ossigeno non è terminato.
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