Una testa enorme su di un corpo molto piccolo, buona parte della testa è occupata dalla bocca da cui spuntano una lunga serie di denti aghiformi che rifrangono la luce nell’oscurità dell’oceano. Sopra la testa un osso fuoriesce e si proietta verso l’alto, in cima a questo risplende un luce. Neanche le più fervide fantasie di Spielberg avrebbero potuto creare un mostro tanto orribile.
Siamo a 600 metri di profondità, o meglio, il robot che la ricercatrice del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) in California, sta guidando, si trova a quella profondità al centro della fossa di Monterey Canyon nell’Oceano Pacifico.
Gli scienziati studiano la fauna e la flora degli abissi e quando il mostro viene avvistato subito si accende un attività frenetica nella sala. Uno scienziato chiama l’altro e il capo ricerca ordina di scattare, scattare più foto possibile.
Non siamo davanti a una scoperta sensazionale, ma davanti a una rana pescatrice degli abissi. L’eccitazione è data dal fatto che non ci sono fotografie o riprese di questo animale nel suo ambiente naturale. Il pesce, oggettivamente orribile, è conosciuto attraverso i resti di esemplari morti riportati a riva dai pescatori.
La rana pescatrice degli abissi, di cui ne esistono diverse specie, è un animale, come molti di quelli che vivono negli abissi, particolare. L’osso che gli sbuca sulla testa, è parte della colonna vertebrale e serve a pescare. Tramite la luce che brilla al suo apice, la rana attira le prede.
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