Una buona parte delle vittime sono stranieri extracomunitari che cadono in mare o nelle acque interne dopo aver bevuto o, una volta ubriachi, si gettano in mare (20%).
Nel mondo muoiono ogni anno 380.000 persone per annegamento e questa è al terzo posto come causa di morte per incidente.
Tra i diversi paesi europei, l’Italia, in proporzione al numero di abitanti, alla lunghezza delle coste e all’estensione delle acque interne, è una di quelle con il minor numero di vittime. Ciò è dato dalle leggi sulla sicurezza che nel tempo hanno dato i loro effetti, (piscine recintate, bagnini sempre presenti, zone costiere pericolose interdette al pubblico).
In altri paesi, come la Germania, nonostante ci sia un’estensione di coste che è circa un terzo delle nostre, si ha lo stesso numero di decessi con una percentuale maggiore di vittime sotto i 12 anni (50%) e una percentuale molto minore di extracomunitari di prima generazione (ovvero ancora non del tutto integrati nella cultura locale).
L’azione di prevenzione continua si basa – ci spiegano al Ministero della salute – soprattutto sull’aspetto culturale. Si può evitare il pericolo sensibilizzando la popolazione. Purtroppo, ci fanno notare al Ministero, esiste una cultura molto dannosa che fuorvia le persone dalla realtà del fenomeno, come alcuni serial americani che trattano l’argomento, dove, l’annegato, chiede aiuto e il bagnino-eroe corre e lo salva.
Questo tipo di messaggio fa si che la popolazione si convinca che chi affoga ha la possibilità di chiedere aiuto, ma questo accade solo in una piccola percentuale di casi. Nella maggior parte delle volte, la persona che annega lo fa in silenzio senza avere la possibilità di lanciare l’allarme.
Decine di persone muoiono per annegamento quando sono nella portata di altre persone che se fossero coscienti del pericolo le potrebbero salvare, ma non lo fanno, solo perché non sono i grado di leggere i segnali che la persona in pericolo lancia.
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