Continuano ad arrivare in redazione testimonianze di quanto accaduto lo scorso 18 agosto, quando una forte burrasca ha colpito la Corsica, e, in modo più attenuato, la Sardegna. Un groppo molto violento che è durato circa 40 minuti quel giorno ha colpito le due isole provocando molti danni e causando lo spiaggiamento di oltre 40 barche.
Qui di seguito pubblichiamo un articolo scritto da Gianluca Marcon che ha vissuto quell’esperienza in prima persona.
Gianluca Marcon è capobarca per conto di AIVA CVC da molti anni e ha navigato, oltre che in Mediterraneo, anche nel nord Atlantico: Olanda, Svezia, Norvegia e Islanda.
Diamo la parola al protagonista della vicenda, buona lettura.
***** ARRIVA IL MOSTROSono alla fonda nel lato a Nord del golfo di Valinco, circa 15 miglia a sud di Ajaccio, di fronte alla spiaggia di Taravo e appena prima delle 8, con ancora il caffelatte in mano, metto fuori la testa dal tambucio per dare un’occhiata in giro. Porca miseriaccia! Da nord ovest avanzano delle nubi a mensola, solide, vive, da cui scendono quelli che sembrano dei tentacoli.
Questo non è un groppo! E’ un mostro che sta per inghiottire la nostra barchetta, un Elan 434, di un charter nostrano, con cui stiamo risalendo la Corsica occidentale.
Finora la navigazione è stata piacevole e stiamo rispettando la nostra tabella di marcia che ci deve riportare a Punta Ala, in Toscana, dopo aver lasciato alcuni giorni prima Olbia, in Sardegna.
SCAPPIAMO!Intorno a me, la sera prima, si sono radunate altre barche e purtroppo, come capita in agosto, siamo tutti vicini, troppo vicini e, temo, un po’ precari.
Chiamo in coperta i ragazzi con cinture e cerate, mentre mi precipito in mutande ad accendere il motore e i dieci secondi che servono alle candelette per scaldarsi, li passo senza respirare col naso all’insù.
Un tuono mi rivolta lo stomaco da quanto è minaccioso, ma l’aria è incredibilmente ferma. Il borbottio del Volvo Penta mi fa ripartire i polmoni.
A prua Michele ha il comando del salpancora in mano e mi guarda “Si va! Salpa!” urlo. Marcia avanti e la barca si mangia un anello dopo l’altro del calumo e quindi chiedo a Elena, appena emersa dal ventre della barca, di terminare la manovra, mentre io mi butto dentro per prepararmi.
Non faccio in tempo a infilare i pantaloni della cerata, che sento urlare: “Gianluuu, non la tengo!!!”.
Corro fuori e prendo il timone che già sono iniziate le prime raffiche, 30-35 nodi, e la barca si intraversa. Salgo di giri e riporto su la prua, mentre Michele imperturbabile continua a recuperare il calumo.
Intanto Caterina, come uno scoiattolo, imbroglia con una cima la randa che mostrava di voler sfidare il vento. Sono attimi frenetici e io aspetto con ansia la parolina magica, che finalmente esplode da prua come un grido liberatorio: “Ancora a bordo!”.
A tutto gas punto il largo, prua ad ovest, finché ancora si vede qualcosa. Una barca inglese sfila a pochi metri da noi, un altra è alle prese col tender.
A pieni giri ci allontaniamo e guadagniamo acqua preziosa, ma ormai il mostro è arrivato e comincia a ruggire, inghiottendo la costa.
IL MOSTRO CI ATTACCAIl vento soffia sempre più forte e il mare è coperto da banchi di schiuma, la visibilità è di circa una ventina di metri. Stimo che siamo ben oltre i 60 nodi: un vento così forte non l’ho mai visto e un amico che era nella stessa baia con me, lo saprò dopo, misura una raffica a 89 nodi!!! Quel vento non lo regge nessuno! O forse lo reggi un minuto.
Io sono stordito dagli schizzi di pioggia che mi arrivano in faccia; metto la maschera da sub, almeno per riparare gli occhi. Non si vede più niente e le raffiche attaccano la barca a secco di vele. Cerco di capire dove sono, ma siamo circondati da una coltre bianca e assordante e l’unico ausilio è il plotter in pozzetto e la bussola, che indicano la nostra posizione a circa un paio di miglia dalla costa, proprio davanti alla spiaggia di sabbia.
Cerco di restare fermo lì: quando il vento spinge verso terra, marcia avanti a tutta forza per tener su la prua e prendere l’onda al mascone, quando invece il vento spinge al largo mi lascio scarrocciare a quasi 3 nodi. Alcune raffiche sono però così forti che non c’è niente da fare e la falchetta si tuffa in acqua.
Quando riprendiamo la dimensione verticale, la barca diventa nuovamente manovriera e proviamo ad offrire al vento il lato opposto a dove si trova la presa a mare del nostro diesel, perché ho paura che il motore aspiri aria e si surriscaldi.
L’altra paura che mi assale è che le morchie del serbatoio, sballottate dal rodeo che stiamo facendo, possano entrare nel circuito di alimentazione intasando i filtri.
Entrambe le ipotesi, tremende, mi priverebbero del motore, nel qual caso, ragiono tra me e me, non resterebbe che dare fondo all’ancora e attendere di toccare una batimetrica ragionevole, sperando, nell’ipotesi migliore, che l’ancora faccia testa e tenga la posizione. In pratica ritornerei alla casella di partenza, sopravvento a chi nel frattempo è rimasto alla fonda.
Nell’ipotesi peggiore, avremmo trascinato la nostra ferraglia sul fondo rallentando comunque il momento in cui saremmo finiti in costa, ma almeno avremmo guadagnato tempo e in queste circostanze resistere 5 minuti in più può fare la differenza, visto che tutto il groppo si è risolto in 30-40 minuti.
L’imperativo è comunque tenere duro, stare a galla e lontano dalle altre barche e dalla costa.
Non importa quanti nodi ci sono, quanta onda, quanto si balla, prima o poi questi groppi devono passare, mi dico, e cerco di trovare forza in questa convinzione, ma intanto sono schiacciato dal Mostro che ruggisce e vomita vento e acqua.
Meglio concentrarsi sulle cose semplici, immediate: motore su di giri e guadagnare sopravvento, poi il Mostro ci stende e perdiamo l’acqua guadagnata, ma quando Lui si distrae un attimo ricomincio con il mio compitino e avanti così. “Te ne andrai via, maledetto, prima o poi!!”
IL MOSTRO VA VIAE infatti, dopo una quarantina di minuti interminabili, così com’è arrivato, il Mostro se ne va, non voleva noi per fortuna e dalla nebbia riappaiono la costa, le montagne, le altre barche; ci sono ancora 25-30 nodi, ma hanno il sapore della brezzolina delicata, mi accorgo ora che sono mezzo congelato e tremo tutto, ma ritrovo i visi dell’equipaggio e un sollievo, un’euforia si impadroniscono di noi.
Torniamo verso terra e diamo fondo nuovamente. Mi rifugio sottocoperta per scaldarmi un po’. Siamo eccitati e felici. Ci scambiamo complimenti e battute, come se noi pidocchietti avessimo vinto, ma sappiamo che siamo stati fortunati perché il Mostro non voleva noi.
Il Mostro ha scelto le sue prede poche miglia più a nord, dove decine di barche sono state sacrificate alla sua furia: lo scopriremo dopo un paio di giorni, quando entreremo in un bel pomeriggio di sole alla Girolata, e vedremo decine di barche spiaggiate, disalberate, distrutte.
LA STRATEGIAFino alla sera prima le previsioni indicavano un fronte temporalesco che avrebbe investito il nord della Sardegna con venti oltre i 50 nodi, tant’è che alcune società di charter avevano richiamato indietro tutte le unità che navigavano nell’area delle bocche di Bonifacio.
Alcuni modelli meteo invece non segnalavano particolari difficoltà e anche Météo-France, la fonte più autorevole, non aveva diramato alcuna allerta.
Solo al mattino del 18 agosto le previsioni indicavano che ormai il Mostro aveva preso di mira la Corsica Occidentale, ma adesso non si parlava più di 50 nodi e le carte meteo mostravano chiazze bianche che significavano venti da 80-90 nodi.
Insomma il gioco era cambiato, ma non c’era molto da fare, perché di rifugiarsi in porto non se parla in agosto, in Corsica, perché i posti sono prenotati da settimane e in ogni caso, una barca a vela, non poteva scappare da lì sperando di schivare la linea frontale, visto che avanzava a 100kmh.
In questi frangenti le scelte a disposizione sono sostanzialmente due: o si lascia immediatamente l’ancoraggio oppure si cerca di resistere all’ancora.
Io ho preferito salpare velocemente e guadagnare il largo, perché il pomeriggio del giorno prima alcune imbarcazioni si erano ancorate davanti alla mia prua e, ammesso anche che la mia ancora non arasse, non potevo accettare di consegnare la sicurezza della mia barca nelle mani di altri.
Chi mi assicurava che le barche vicine non avrebbero arato o che il loro calumo avrebbe retto?
Puoi essere anche il più bravo della baia, ma se ti vengono addosso, rischi che ti strappino lo strallo e l’albero ti cade in testa, come è successo alla Girolata. Qui infatti decine di barche giacevano distrutte sulla costa perché la loro ancora aveva mollato, molte però erano ancora ancorate o addirittura alla boa, ma disalberate e devastate dalle barche che aravano fuori controllo (su YouTube si vedono immagini agghiaccianti degli “autoscontri” in rada).
Per quanto mi riguarda dunque, se ci sono barche vicine, si fila via quando le cose si mettono male.
D’altra parte, non è detto che la mia ancora avrebbe tenuto: quella non era la mia barca, dove posso sovradimensionare e scegliere la linea di ancoraggio, magari con un’ancora di ultima generazione e catena certificata.
Ero su una barca da charter datata con una dotazione standard e la catena non era sicuramente nuova (anzi la catena era giuntata in alcuni punti con delle false maglie in inox che riducevano la tenuta della linea).
Aggiungo che nei nostri ancoraggi, predisponevamo sistematicamente un parabordo legato alla bozza della catena per poter filare per occhio in emergenza, anche perché la frizione del nostro salpancora slittava e avevamo fatto precise esercitazioni con tempo buono, ma in questa occasione ho preferito conservare a bordo l’ancora principale, dato che si era capito subito che quello non era un groppo come gli altri.
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