Tanta rabbia è data dal comportamento di alcuni burocrati europei e di un atteggiamento distratto del nostro governo.
Sino ad ora l’IVA sul Charter era considerata al 50% dell’aliquota normale che è del 22% accettando l’ipotesi che una barca passasse metà del suo tempo in navigazione fuori dalle acque territoriali, cosa che, non è vera, ma che era stata assunta per poter aiutare un settore che in tutta Europa non gode di grande attenzione. L’IVA, che in Europa si paga solo sui servizi erogati e goduti sul territorio Europeo, incideva sul contratto di nolo solo per l’11%, ovvero la metà dell’aliquota normale.
Qualche anno fa dei commissari europei francesi hanno detto che questa non è una cosa possibile poiché nessuna barca a vela passa il 50% del tempo fuori dalle acque europee e così è stato chiesto che le barche dimostrino realmente di spendere questa quota di tempo fuori dalle acque nazionali, in caso contrario dovranno pagare l’IVA per intero.
Il governo ultimamente, grazie al grande lavoro fatto da UCINA, al contrario di quanto scrive qualcuno poco informato, ha dimostrato grande attenzione al comparto nautico, tanto che articoli ad hoc per la nautica appaiono sia nei decreti governativi, sia in tutte le ordinanze regionali emanate in seguito alla pandemia Covid-19.
Ma su questo punto nessuno è riuscito ad attrarre l’attenzione del governo e, purtroppo, bisogna prendere nota che l’esecutivo francese, che rischia come noi l’aumento dell’IVA sulle sue barche da charter, si è mosso molto più rapidamente facendo sapere alla comunità europea che per il momento, a causa della pandemia, loro non si adegueranno ai dettami europei.
Il settore del charter ha diversi problemi che non hanno senso e che sono tipici di un paese come il nostro dove la burocrazia spesso è irrazionale e sfida le leggi della logica. L’aumento dell’IVA equivarrebbe a mettere il charter italiano fuori gioco nei confronti dei competitor mediterranei come la Croazia e la Grecia.
Il charter, grazie a codici ATECO sbagliati, in molte regioni non rientra nella categoria turismo e questo significa che, nonostante queste aziende abbiano subito cali di fatturato disastrosi a causa dell’epidemia, probabilmente non potranno usufruire degli aiuti del turismo per colpa di un qualche burocrate che li ha voluti classificare in un comparto che non gli appartiene.
Nel decreto che permette di tornare in barca si è stabilito che i non conviventi debbano dormire uno per cabina e questo è un altro ostacolo insormontabile che condanna il comparto a un anno di carestia, come se realmente le coppie non conviventi evitassero per sei mesi di avvicinarsi l’uno all’altro.
Infine con quest’ultimo colpo dell’IVA che raddoppia c’è ben da capire perché qualcuno sta pensando di portare la sede all’estero.
Se veramente vogliamo che l’Italia si rimetta in marcia e le società riprendano a lavorare, che l’esecutivo, come hanno fatto in Francia, dedichi del tempo a questo problema e informi l’Agenzia delle Entrate e la commissione Europea che per il momento il problema dell’IVA deve essere accantonato.
La politica negli anni ‘80 e ‘90 ha già condannato l’Italia a fare la parte del fratello povero della Francia in un settore come la nautica dove avremmo avuto tutte le carte per essere il numero uno, che ora non si dia il colpo di grazia a un comparto del settore che attira nel nostro paese capitali freschi dall’estero e che crea lavoro per molte migliaia di persone.
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