
Il 4 marzo, presso il Tribunale di Sorveglianza di Roma, si sarebbe dovuta svolgere l’udienza per valutare la richiesta di semilibertà di Francesco Schettino, condannato in via definitiva nel 2017 a 16 anni di reclusione per il naufragio della Costa Concordia, avvenuto la notte del 13 gennaio 2012 al largo dell’Isola del Giglio, in Toscana. Il naufragio causò la morte di 32 persone e il ferimento di un centinaio di passeggeri.
La discussione sulla semilibertà è stata posticipata ad aprile a causa di un cambio di giudice; il nuovo magistrato incaricato del caso ha bisogno di tempo per esaminare il fascicolo.
Se la richiesta di semilibertà verrà accolta, Schettino potrà lasciare il carcere di Rebibbia, a Roma, durante il giorno per recarsi al lavoro e rientrare la sera. L’ex comandante dovrebbe andare a lavorare presso l’associazione di Flavia Filippi “Seconda Chance”, che si occupa del reinserimento lavorativo dei detenuti.
I familiari di alcune vittime si sono detti contrari alla concessione della semilibertà. L’avvocato difensore di Schettino, Paola Astarita, ha dichiarato che il suo assistito ha ormai scontato oltre metà della pena e ha sempre mantenuto una condotta esemplare durante la detenzione, elementi dovrebbero dargli il diritto a richiedere la semilibertà.
Astarita ha evidenziato anche come Schettino si sia subito pentito di quanto fatto e che si sia consegnato spontaneamente alle forze dell’ordine lo stesso giorno della sentenza definitiva, prima ancora che fosse emesso l’ordine di cattura.
Nel 2012, il comportamento di Schettino e le sue azioni durante il naufragio suscitarono un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica. Quello che sconvolse fu il suo tentativo di abbandonare la nave mentre a bordo c’erano ancora molti passeggeri, alcuni dei quali stavano perdendo la vita in quei momenti.
Il suo allontanamento fu al centro della celebre telefonata di Gregorio De Falco, all'epoca capo della sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno, che gli intimò di 'tornare a bordo' per coordinare i soccorsi.
Nonostante l’ordine, Schettino non obbedì e non fece mai ritorno sulla nave, lasciando l’equipaggio e i passeggeri a gestire da soli l’emergenza.
A un comandante si possono perdonare molte cose, ma la vigliaccheria non è tra queste.
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